EDITORIALE
Massimo A. Alberizzi
A leggere il rapporto della commissione di inchiesta delle Nazioni Unite sulle violazioni dei diritti umani in Eritrea si resta annichiliti e attoniti e viene anche una certa amarezza al pensiero dei tanti giornalisti, me compreso, che hanno sostenuto la guerra di liberazione combattuta dai patrioti per l’indipendenza dell’ex colonia italiana.
Quante speranze di libertà e di sviluppo erano contenute in quella lotta di liberazione. E quante menzogne raccontava il suo leader, quell’Isaias Afeworki, che da 22 anni governa con il pugno di ferro un Paese che allo scoppio della Seconda Guerra mondiale era il più industrializzato dell’Africa dopo il Sudafrica e ora è uno tra i più poveri.
L’Italia in questi anni ha aiutato l’Eritrea oltre misura, ha subito dal perfido dittatore grandi umiliazioni. Lui ha espulso i nostri diplomatici e l’Italia non ha fiatato. Berlusconi, quando era presidente del Consiglio, ha ospitato il tiranno sul suo panfilo in navigazione nel Mediterraneo, probabilmente anche perché il fratello Paolo cercava di fare affari nel piccolo paese del Corno d’Africa.
Ma l’amarezza si trasforma in rabbia quando si leggono le dichiarazioni irresponsabili di alcuni politici che propongono di bombardare i barconi, di non accogliere i migranti che scappano dall’inferno. Vorrei sbattere il rapporto dell’ONU sulla scrivania di Salvini o di Maroni, vorrei costringerli a leggere e imparare a memoria le 484 pagine del documento, prima di sparare le loro incoscienti e scriteriate proposte. E vorrei ricordare ai capi leghisti che proprio un loro ex amico, e assessore di una delle giunte Formigoni, Piergianni Prosperini, faceva affari con il dittatore e lo riforniva di armi. Armi servite a stringere il maglio della repressione e quindi costringere alla fuga centinaia di giovani.
La gente che scappa dall’Eritrea sa che rischia di morire durante il viaggio atroce. Eppure parte lo stesso. Tra la certezza di morire in patria e il tentativo di sopravvivere in Europa i disperati scelgono quest’ultima strada. Noi che siamo un popolo di migranti ora ci ritroviamo a strapazzare i migranti. Noi che abbiamo subito anni di umiliazioni, ora dovremmo trasformarci in aguzzini che umiliamo.
Gli echi delle proposte scellerate arrivano qui in Africa, eccome. Nei villaggi più sperduti nelle foreste, dove ci accoglieva gente che snocciolava a memoria i nomi della formazione della nostra nazionale di calcio qualche anno dopo si ironizzava sul bunga-bunga. Ora ci si rinfaccia di voler sparare su chi chiede aiuto.
Per fortuna l’Italia (e gli italiani) non sono proprio così, anche se questa faccia (e non quella dell’ospitalità e dell’accoglienza) è quella che emerge qui in Africa. L’Italia non può essere complice dei tiranni come vorrebbe qualche leader politico. E non solo per un male interpretato sentimento buonista. Ma anche perché i nostri interessi a lungo termine sono convergenti con quelli dei migranti. Loro vogliono restare in patria, noi vorremmo che restassero in patria, ma per questo occorre impedire ai governi dittatoriali di esercitare il potere arbitrariamente e con la forza.
Cominciamo, per esempio, a seguire l’esempio della Svezia che ha incriminato Isaias Afeworki e altri alti papaveri della dittatura eritrea per crimini contro l’umanità. Occorre dire basta con l’impunità per chi ha mani e la coscienza macchiate di sangue. Non è forse vergognoso accogliere gli assassini e ladri con il tappeto rosso? Se al posto della tirannia in Eritrea ci fosse un regime non del tutto arbitrario come è quello attuale, forse i giovani non avrebbero più nessun motivo di fuggire dalla loro patria.
Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi
N.B. Non vale sostenere, come già immagino faranno in tanti, “la legge italiana non lo permette”. E’ vero; ma nulla vieta al nostro parlamento di varare una legge che contempli la “legislazione universale”, come già fanno alcuni Paesi occidentali. Forse manca la volontà politica. E questa è la cosa più grave.
Nella foto il presidente dell’Eritrea Isaias Afeworki
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Il 11/06/15 20:31, shawl jojo ha scritto:
Caro signor Alberizzi da tanto tempo seguo i sui articoli sopratutto quando scrive del mio paese ERITREA.
Ma con tutta la sua competenza specialmente riguardo alle faccende Africane ancora non riesco a capire se e in buona fede o malafede...se ci e o ci fa...noi Eritrei chiediamo solo una cosa.
IL RISPETTO DELL’ACCORDO HO TRATTATO DI ALGERI ( CONFINE BADME).
E poi dopo vedrà tutto si sistemerà anche con i fratelli Etiopi . Perché modestamente le voglio dire sull’ attualità le do tutto ragione diritti umani dittatura ecc... ma non si può ignorare il male di tutto che la comunità internazionale non fa rispettare la decisione del trattato.
grazie
Caro signor Jojo,
temo proprio che lei non conosca il suo Paese. Agli eritrei, e ne conosco tanti, non importa un granché dei confini. Interessa non sparire senza nessun motivo, non andare a Sawa per un'eternità, avere un futuro, avere la certezza della legge, insomma non vivere sotto una dittatura fascista.
Credo che se lei fosse al posto di Petros Solomon in una galera che nessuno conosce, non avrebbe nessun motivo di interessarsi del rispetto di un accordo, ma vorrebbe solo rivedere il sole e tornare libero. Ecco perché non capisco se è lei in malafede e si pone, come uno sprovveduto ingenuo, il problema dei confini mentre i suoi compatrioti ogni giorno muoiono e soffrono.
Per altro io come lei che vivo in libertà, sostengo che la sentenza della corte vada rispettata e che gli etiopi di debbano ritirare da Badme, come gli eritrei devono rispettare la sentenza che li riconosce come responsabili della guerra del 1998 e devono pagare i danni di guerra.
Ma questi sono altri due capitoli meno importanti, di quello gigantesco delle sofferenze che la sua gente sta pagando per la dabbenaggine di persone come lei che danno più importanza alla questione dei confini piuttosto che alla violenza perpetrata da un regime fascista che comanda in Eritrea.
Le ricordo quel detto popolare: mentre il dito indica la luna, l’idiota guarda il dito.
Cordiali saluti
m. a. a.