Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 8 giugno 2015
Le accuse sono durissime: crimini contro l’umanità, sistematiche violazioni dei diritti umani, torture, abusi contro la popolazione civile, donne ridotte a schiave del sesso, uomini costretti ai lavori forzati, omicidi extragiudiziali, arresti arbitrari, detenzioni senza processo, violazione dei diritti di espressione, di associazione, di movimento e reclutamento forzato. Questa è la descrizione che la commissione d’inchiesta istituita alla Nazioni Unite fa dell’Eritrea.
In un anno di lavoro sono state raccolte 550 interviste confidenziali e 160 racconti scritti. Ne risulta un documento preciso e circostanziato. Racconta ad Africa ExPress Mariam (il nome è di fantasia), che al campo militare di Sawa c’è rimasta quasi due anni: “Per uscire da quell’inferno mi sono fatta mettere incinta da un soldato. In quelle condizioni non ti tengono più laggiù. A casa ho raccontato tutto a mio padre, un vecchio combattente del Fronte Popolare di Liberazione Eritreo: voleva credere alle mie parole. Ci hanno creduto i miei fratelli e le mie sorelle: tutti scappati all’estero prima che per loro scattasse il reclutamento forzato”.
Le conclusioni del rapporto sono raccapriccianti: “L’Eritrea è un Paese dove governa la paura, non la legge”. Paura che aleggia dappertutto. Temi che i vicini di casa ti controllino, temi la delazione del negoziante dove compri il cibo, dell’impiegato dell’ufficio dove sei entrato, del cameriere al ristorante. Perfino all’interno delle famiglie c’è il timore di parlare. I padri hanno paura dei figli e viceversa. La mannaia del regime può calarti sulla testa quando meno te lo aspetti. Il rapporto spiega anche come nell’ex colonia italiana sia facile sparire. Un giorno esci di casa e non torni più. Tua moglie va alla polizia cerca informazioni che nessuno le darà mai. Qualcuno ricompare in qualche galera e resta in prigione senza alcun motivo.
L’apparato giudiziario, sottolinea il rapporto, non esiste: i magistrati giudicano secondo i desideri del regime.
Il documento non ha paura di menzionare direttamente chi sono i responsabili del clima di terrore che regna in quello che è uno dei più bei Paesi dell’Africa: l’esercito (Eritrean Defence Forces), l’ufficio della sicurezza nazionale, la polizia, il ministro dell’Informazione, quello della Giustizia e della Difesa, il partito unico People’s Front for Democracy and Justice (PFDJ), l’ufficio del presidente e il presidente, cioè Isaias Afeworki, l’uomo che da 22 anni governa con il pugno di ferro.
Fanno parte della commissione d’inchiesta, che presenterà ufficialmente il rapporto il 23 giugno a Ginevra, l’australiano Mike Smith, il ghaneano Victor Dankwa, e Sheila B. Keetharuth, una signora delle isole Mauritius espertissima di diritti umani che conosce molto bene l’ex colonia italiana. Le autorità eritree, hanno spiegato i tre, si sono o smpre rifiutate di collaborare con la commissione che non è mai potuta entrare nel Paese, ma ha dovuto lavorare sempre all’estero. I suoi membri, per investigare, hanno visitato otto Paesi.
I crimini perpetrati vero i cittadini eritrei sono tanti, ecco perché la gente scappa. L’UNHCR calcola che fino a metà 2014 fossero 357,400 quelli fuggiti dall’inferno dell’ex colonia italiana.
Massimo A. Alberizzi
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