Morsi a morte, Mubarak graziato. Così finisce la Primavera Araba in Egitto

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Speciale per Africa ExPress
Barbara Ciolli
 17 maggio 2015

A quasi cinque anni dalla Primavera araba che avrebbe dovuto portare libertà e democrazia, Hosni Mubarak è stato prosciolto dalle accuse per la morte di centinaia di manifestanti in piazza Tahrir. Mohamed Morsi, primo presidente egiziano democraticamente eletto dopo le rivolte, viene invece condannato alla pena capitale, per aver orchestrato un’evasione di massa nei mesi del 2011 delle dimissioni imposte all’ultimo faraone.

Vecchio e malato, a 87 anni Mubarak se la caverà con i tre anni e una multa di 15 milioni di euro per aver dirottato fondi pubblici sulla ristrutturazione del “suo” palazzo presidenziale. Ma la sentenza di primo grado all’ergastolo del 2012, mentre Morsi correva per le elezioni, per i morti durante la repressione delle piazze (oltre 850), è caduta nel vuoto. Morsi è stato deposto da un golpe militare, dopo un anno di governo disastroso. Mubarak è stato assolto per «insufficienza di prove» dall’accusa di strage.

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Con la scalata del generale Abdel Fath al Sisi, ministro della Difesa poi presidente, la macchia delle violenze in piazza Tahrir è ricaduta sul capro espiatorio della controrivoluzione, il leader della Fratellanza musulmana messa al bando come organizzazione terroristica, detenuto dal luglio 2013 e apparso da dietro le sbarre del Tribunale del Cairo che ha pronunciato il verdetto più duro.

In Egitto le violenze di piazza non sono mai cessate. Dopo il 2011 le donne hanno continuato a essere stuprate e i giornalisti arrestati durante le proteste. Manifestanti anti-Morsi sono stati imprigionati e talvolta uccisi anche durante il breve passaggio al potere degli islamisti. E dopo il golpe militare del giugno 2013, la repressione si è spostata su larga scala contro i Fratelli musulmani e, gradualmente, anche contro la sinistra e i liberali laici, che, contrari all’islamizzazione, a Tahrir avevano festeggiato il colpo di mano di Sisi con i fuochi d’artificio.

Al Cairo le università sono presidiate dai contractor che lavorano per l’intelligence. Nel gennaio 2015, per l’anniversario della Primavera soffocata, la 33enne Shaimaa el Sabag, leader non velata di Alleanza popolare socialista, è caduta in una piazza Tahrir blindata, colpita da una delle troppe pallottole di «gomma» sparate dalla Polizia contro le poche decine di manifestanti, mentre deponeva inerme un fiore per le vittime.

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La sua storia non ha fatto il giro del mondo, come avvenne invece per Neda, la giovane iraniana uccisa nelle proteste del 2009, e neanche quella di una 17enne uccisa, giorni prima, negli scontri tra Fratelli musulmani e forze dell’ordine dopo il venerdì di preghiera. A queste ultime vittime si sommano le centinaia di vittime della controrivoluzione: almeno 600 morti, solo nei massacri delle piazze Rabba e al Nahda, nell’agosto 2013. Nominato vicepresidente dopo il golpe di al Sisi, anche il liberale Muhammad el Baradei si è dimesso, in aperto dissenso alle violenze di Stato.

Morsi non è innocente. Ma l’apparato che lo processa si è macchiato di violenze peggiori delle sue, cancella i crimini passati e non è salito al potere con elezioni democratiche. Nonostante il suo curriculum politico inadeguato, l’ingegnere specializzato negli Usa tra i dirigenti della Fratellanza musulmana fu mandato avanti per le Presidenziali dopo mesi di spaccature tra le correnti del movimento panarabo.

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Diversi declinarono l’offerta per un ruolo così nuovo e scomodo. Grigio parlamentare sotto Mubarak, il 64enne Morsi accettò invece di emergere, con la Primavera araba, come leader del neonato Partito islamista di Libertà e giustizia e su di lui vengono adesso scaricate tutte le accuse contro la Fratellanza musulmana. A partire dalla condanna a morte, in primo grado, per aver organizzato l’evasione di massa dal carcere di Wadi el Natroun, dove Morsi era stato rinchiuso nel gennaio 2011.

L’ex presidente islamista
è stato anche condannato a 20 anni per aver ordinato, nel dicembre 2012, una repressione davanti al suo palazzo presidenziale, e ha scampato una seconda sentenza a morte (ad altri 15 imputati della Fratellanza) nel processo per cosiddetto «spionaggio». Più propriamente, l’accusa è di collaborazione terroristica in favore dei palestinesi di Hamas e degli Hezbollah libanesi.

I principali procedimenti penali
contro Morsi sono cinque. Con lui, per la maxi-evasione degli islamisti, sono stati mandati a morte altri 106 imputati, tra i quali la Guida suprema della Fratellanza Mohamed Badie, perseguito in 43 processi. A Giza, nella città delle Piramidi, la Corte d’assise ha anche condannato alla pena capitale 183 oppositori, per l’assalto a un commissariato che fece 11 morti tra gli agenti di polizia. Sentenza, come le altre, non eseguita, di primo grado e appellabile.

Barbara Ciolli
barbara.ciolli@tin.it
@BarbaraCiolli

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