Speciale per Africa ExPress
a. s. b.
Roma, 5 maggio 2015
Mancano pochi giorni alla scarcerazione di Roberto Berardi, l’imprenditore pontino detenuto nella durissima galera di Bata, in Guinea Equatoriale, e non ci sono ancora vere certezze su che cosa realmente accadrà martedì 19 maggio, quando il connazionale vedrà spalancarsi finalmente le porte del carcere.
Le migliori condizioni detentive di Berardi, rispetto agli standard garantiti durante gran parte della prigionia, e la richiesta di scarcerazione presentata dal suo legale equatoguineano, sembrano rappresentare ottimi auspici per un suo effettivo ritorno in patria ma ufficialmente nessuno ancora sembra volersi sbilanciare: su questo caso giudiziario, ma c’è chi dice (probabilmente non a torto) umanitario, internazionale pesa infatti una diatriba economica tra l’imprenditore italiano ed il suo ex-socio Teodorin Obiang, secondo vicepresidente incaricato della Guinea Equatoriale.
Per questo motivo il vero nocciolo della questione, e la principale preoccupazione della famiglia, è che cosa succederà una volta che Berardi varcherà l’uscita di Bata Central: il governo italiano, in una lettera alla madre di Berardi e in una mozione approvata in III Commissione Esteri della Camera, ha assicurato il massimo sostegno e tutta l’assistenza necessaria a tutelare l’incolumità e i diritti dell’imprenditore.
Nonostante le brucianti preoccupazioni, l’affetto dei familiari in Italia sembra voler abbracciare quasi fisicamente il congiunto lontano: la famiglia Berardi attende infatti speranzosa la fatidica data e gli amici in Italia dell’imprenditore si ritroveranno ad un incontro pubblico organizzato per le ore 16 di lunedì 18 maggio 2015 alle librerie Feltrinelli di Latina, dove si farà il punto sugli impegni assunti recentemente dal Governo italiano e dall’Alto Commissario europeo per la politica estera.
Restano invece ancora avvolte nel mistero le sorti del secondo italiano incarcerato a Bata, Fabio Galassi. Arrestato il 21 marzo scorso e detenuto ancora senza un formale capo d’accusa, almeno ufficialmente. Le autorità giudiziarie della Guinea Equatoriale fanno sapere di aver quasi concluso le indagini a suo carico, informalmente per appropriazione indebita e truffa, e disposto un audit sulla società da lui amministrata, la General Works, che aveva importanti appalti ad Oyala, la futura capitale del Paese nel mezzo della foresta, oggi appaltata interamente ad imprese cinesi.
Tra il governo della Guinea Equatoriale e molte imprese straniere è infatti in piedi una diatriba che va avanti oramai da diversi mesi e riguarda proprio la realizzazione di molte delle grandi opere di “Horizonte 2020”, il piano nazionale di sviluppo: le imprese, molte italiane, accusano infatti il governo di aver chiuso i rubinetti e non pagare più gli appalti mentre il governo sostiene al contrario che le consegne arrivano regolarmente in ritardo e che quindi è un suo diritto rescindere i contratti. Il recente viaggio di Teodoro Obiang a Pechino ha inoltre rivelato, o meglio ribadito, l’asse cino-africano: il dragone asiatico necessita infatti di risorse naturali e di idrocarburi, di cui la Guinea Equatoriale è ricchissima, tirando così sul prezzo al ribasso grazie alla manodopera a basso costo.
Questa situazione ha portato a un progressivo scaricamento del problema lungo la classica “catena del lavoro”: i dipendenti delle imprese escluse dagli appalti hanno cominciato a non incassare più gli stipendi e, di conseguenza, ad arrabbiarsi con dirigenze e proprietà; una situazione al limite, che sta letteralmente mettendo alle strette molti imprenditori e lavoratori italiani, e non solo, presenti nel Paese.
a. s. b.
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