Speciale per Africa-ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 23 aprile 2015
Mentre centinaia e centinaia di persone sono in mare, i militanti islamici uccidevano trenta persone, etiopi ed eritrei in Libia.
Due degli etiopi sono di Asmara, Samuel Yitbarek e Getu Kirkose, vivevano l’uno accanto all’altro nel quartiere di Kerkos, 25°distretto, nella capitale dell’Etiopia. Erano amici dall’infanzia e insieme sono partiti per la Libia e insieme sono stati uccisi. Si trovavano da poco a Tripoli. I genitori sono stati informati della loro atroce morte, che la madre di uno dei due ha commentato così: “Piango mio figlio, il dolore è immenso. Fate in modo che queste cose non succedano più”. Amici e parenti hanno riconosciuto i loro cari sul video postato da ISIS su youtube mentre avveniva la loro esecuzione.
Tra le persone ammazzate da militanti dell’ISIS ci sono anche tre eritrei, fuggiti dal Paese più repressivo dell’Africa. Tutti e tre si erano rifugiati in Israele, che certamente non ha steso un tappeto rosso al loro arrivo. In quello Stato i profughi provenienti dall’area sub sahariana vengono considerati tutti “infiltrati” e trattati come tali. (http://www.africa-express.info/2014/01/15/israele-e-gli-immigrati-africani-memoria-corta-sindrome-di-stoccolma-o-nazionalismo-sfrenato/)
Una delle vittime aveva lasciato Israele, dove si trovava dal 2007, nel 2014. Come “infiltrato” si trovava nella prigione di Holot da diverso tempo. Un familiare di uno dei tre ha riferito ai reporter di Haaretz (un quotidiano israeliano): “Non ci aveva comunicato di aver firmato un documento nel quale dichiarava di lasciare spontaneamente il Paese per l’Uganda o il Rwanda. Comunque ha dovuto lasciare anche questo Paese”.
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Infatti non esiste alcun accordo bilaterale con Israele, nessuna possibilità di ottenere un permesso di soggiorno, solo un visto turistico per pochi giorni (http://www.africa-express.info/2014/04/24/israele-un-inferno-per-profughi-africani-come-cadere-dalla-padella-nella-brace/).
Il giovane ha poi raggiunto il Sudan, in seguito è partito per la Libia, con la speranza di potersi imbarcare. Sempre, secondo il familiare del ragazzo, sembra che il barcone sul quale si trovava, per un motivo che non è dato di sapere, sia ritornato in Libia, dove è stato prontamente arrestato, per poi essere “liberato” e ammazzato brutalmente da membri dell’ISIS insieme ai suoi compagni eritrei e etiopi.
Negli ultimi anni quasi millecinquecento africani, per lo più sudanesi e eritrei sono stati “invitati” a firmare una partenza volontaria verso Paesi africani (Uganda e Rwanda).
Si è saputo che uno di loro è stato rimpatriato con la forza in Eritrea. Aveva chiesto aiuto a varie organizzazioni per i diritti umani che hanno cercato di intercedere per lui presso il governo egiziano mentre si trovavo in transito all’aeroporto del Cairo. Una volta giunto ad Asmara, la capitale dell’ex colonia italiana, non si è più saputo nulla di lui. Sparito. Da poco le autorità israeliane hanno comunicato che le deportazioni verso i Paesi africani possono procedere anche senza il consenso dell’interessato!
Ora l’attenzione dell’Europa è concentrata sugli scafisti libici, trafficanti di uomini, che senza ombra di dubbio vanno perseguitati. Loro, però, rappresentano solo l’ultimo anello della catena degli aguzzini che perseguitano un profugo (http://www.africa-express.info/2015/04/20/parole-e-promesse-della-politica-e-intanto-migranti-affogano/).
E’ bene ricordare che il rifugiato prima di raggiungere la Libia rischia la morte ogni giorno, in mano a trafficanti senza scrupoli che incontra durante la sua fuga, non per ultimo nella stessa ex-colonia italiana, ora nel caos più totale (http://www.africa-express.info/2013/09/16/i-migranti-perseguitati-in-libia-di-cornelia-i-toelgyes/), nel deserto, dove spesso vengono abbandonati dai trafficanti di uomini e consegnati alla morte, arrestati per immigrazione clandestina, sbattuti in luride galere in Sudan e/o in Egitto dove marciscono per anni, nell’attesa del rimpatrio forzato. Ma ciò non interessa a nessuno. L’importante che non “invadano” il mondo occidentale.
Dunque colpire solo gli scafisti non rappresenta una valida soluzione per salvaguardare vite umane.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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