Speciale per Africa ExPress
Barbara Ciolli
20 aprile 2015
Contro gli houti vince al Qaeda. In Yemen la guerra tra i sunniti mobilitati attorno all’Arabia Saudita (Egitto, Sudan, Marocco, Giordania, Kuwait, Bahrein, Qatar ed Emirati arabi, con l’appoggio logistico e di intelligence degli Stati Uniti) e i ribelli sciiti del putsch al presidente Abd Rabbu Mansour Hadi, difesi dall’Iran, fa avanzare il movimento terroristico delle stragi americane dell’11 settembre. Non l’Islam politico conservatore dei governi della coalizione.
Bombe, kamikaze, anche offensive di terra vengono compiute da Al Qaeda nella Penisola araba (AQAP), nel Paese cerniera tra il Corno d’Africa e il Medio Oriente con il record di detenuti a Guantanamo che edita anche il magazine di al Qaeda, Inspire. Questo aprile, mentre la coalizione araba bombardava Sanaa, un gruppo tribale riconducibile ad AQAP ha conquistato il porto e l’aeroporto di al Mukalla, città costiera del sud occupata da settimane, e il vicino terminal per l’export di greggio di al Dhaba. I militari avrebbero opposto resistenza minima ai terroristi, che hanno anche svuotato la banca cittadina, liberato centinaia di detenuti (incluso un comandante qaedista), preso possesso dei carri armati e dei cannoni di un importante campo militare della zona e assunto il controllo degli edifici governativi locali.
Gettando la spugna, il dimissionario inviato speciale delle Nazioni Unite in Yemen, Jamal Benomar, ha allertato sulle “alleanze strategiche che al Qaeda va stringendo con le tribù locali”. È lecito chiedersi, a questo punto, chi appoggia l’Occidente contro il golpe degli houti. Dopo il sostegno degli americani ai sauditi, Gran Bretagna, Francia, Belgio e Spagna si sono allineate. La Turchia, membro della Nato, ha promesso aiuti logistici. E, grazie all’astensione della Russia, il Consiglio di Sicurezza ONU ha approvato l’embargo sulle armi ai ribelli houti chiesto da Riad.
La linea ufficiale è che al Qaeda guadagna terreno mentre, come in Libia, gli avversari sono distratti dal combattere tra loro. Ma è una spiegazione di comodo. “Approfittando della situazione tumultuosa, l’AQAP espande il suo attuale controllo in parti diverse del Paese, dove nessuno è capace o non vuole opporsi”, riporta ambiguamente il sito d’intelligence americano Stratfor. Presa Sanaa, a settembre era chiaro come sarebbe andata a finire.
La capitale del vecchio Yemen del Nord in mano agli sciiti. Aden, ex capitale dello Yemen del Sud, un fortino sunnita infiltrato da al Qaeda. Sullo sfondo, una proxy war tra Arabia Saudita e Iran sempre più evidente, combattuta anche con gli attentati terroristici. Da decenni i sauditi finanziano le cellule salafite di al Qaeda (e infine dell’ISIS) e un flusso crescente di petrodollari è arrivato loro, negli ultimi anni, anche dal Qatar: siti specializzati come Money Jihad e The terror finance blog monitorano il giro di donazioni.
Lo Yemen è il cortile di casa dei sauditi. Per volare da Riad a Sanaa, un saudita non ha bisogno del visto. E se in Yemen vengono indicate le milizie libanesi filoiraniane Hezbollah di rinforzo agli houti, Teheran denuncia l’infiltrazione di qaedisti dal confine con l’Arabia Saudita. Ma la presenza di al Qaeda è già massiccia, senza far entrare i terroristi. Commistioni con l’AQAP ci sono anche dentro al Islah, il partito dei Fratelli musulmani, tradizionalmente più vicini al wahabismo (il credo fondamentalista della casa reale saudita) in Yemen che negli altri Paesi arabi.
Membro e fondatore di al Islah è, per esempio, l’accademico e chierico Abdul Majeed al Zindani. Nel 2004, il Dipartimento del Tesoro Usa lo definiva un “terrorista globale, a lungo collaboratore di Osama bin Laden reclutatore attivo dei campi di al Qaeda”. Il controverso religioso aveva anche fondato e diretto l’Imam University di Sanaa – chiusa dagli houti nel 2014 – dove insegnava l’imam ucciso da un drone Usa Anwar al Awlaki, che uno dei fratelli Kouachi, autori della strage di Charlie Hebdo, ha dichiarato essere il suo finanziatore di al Qaeda in Yemen.
Considerato la mente di Ispire, Awlaki, yemenita, era lettore nell’università religiosa finanziata dai wahabiti sauditi e dal Qatar, che tra le centinaia dei suoi studenti contava anche arrestati per attentati e omicidi politici. Al Zidani ha sempre negato i legami con al Qaeda e i contatti personali con al Awlaki, che gli venivano attribuiti. Evidentemente, acqua passata anche per gli Stati Uniti e per la Francia.
Benché abbia dichiarato i Fratelli musulmani “organizzazione terroristica” e finanzi la loro repressione in Egitto, in Yemen l’Arabia Saudita sta con al Islah. “Morto il re saudita Abdullah, il successore Salman ha cambiato strategia riavvicinandosi alla Fratellanza”, spiega da Sanaa ad Africa ExPress Arhab al Sarhi, imprenditore e presidente dell’associazione amicizia italo-yemenita. “Hadi, vice dell’ex presidente Ali Abd Saleh prima della sua destituzione, è diventato il leader del fronte sunnita anti-houti”. Saleh, sciita rimasto a capo dei nazionalisti panarabi del General people’s congress, “si è invece alleato con gli houti, dando forza al loro partito Ansar Allah”.
La crisi in Yemen ha assunto così la connotazione impropria di guerra tra sunniti e sciiti. In realtà il 40% della popolazione del nord è sciita zaidita, un ramo dell’Islam che differisce in modo sostanziale dallo sciismo iraniano e non è, al contrario che in Iraq, in conflitto con i sunniti. “Tra noi non c’è odio, preghiamo gli uni accanto agli altri”, racconta al Sarhi. Nel 2011 houti e Fratelli musulmani manifestavano entrambi contro Saleh. Ma le strumentalizzazioni straniere – nello stretto tra Somalia e Yemen, passano 4 milioni di barili di petrolio al giorno – fomentano il conflitto settario. “Non c’è solo l’Iran, anche gli americani e gli europei hanno interessi strategici. Al Qaeda poi sappiamo tutti da chi è spinta”.
Le Nazioni Unite contano un migliaio di morti in meno di un mese. Il Consiglio di Sicurezza ha sanzionato gli houti ma non ha condannato i raid, anche contro i civili, della coalizione sunnita, avallati della Lega araba ma non da una risoluzione ONU. Bombardamenti fuori della legalità internazionale che non colpiscono le basi e i siti controllati da al Qaeda. “Nel mandato dell’operazione “Tempesta decisiva”, al Qaeda e l’ISIS non erano menzionate tra gli obiettivi”, hanno specificato i sauditi.
Chi può scappa da Sanaa, gli sfollati sono circa 150 mila. Ma i soldi non bastano, si esce solo con voli d’evacuazione. Con l’embargo è scattato, di fatto, il blocco navale. E per fermare gli aerei cargo degli iraniani, accusati di inviare armi e finanziamenti agli houti, lo spazio aereo è stato chiuso. Poi ci sono i porti e gli aeroporti in mano ad al Qaeda.
Barbara Ciolli
barbara.ciolli@tin.it
@BarbaraCiolli
https://web.archive.org/web/20100314033922/http://www.treasury.gov/press/releases/js1190.htm
dal Centro per la Riforma dello Stato Giuseppe "Ino" Cassini* 22 dicembre 2024 Le due…
Speciale per Africa ExPress Cornelia I. Toelgyes 21 dicembre 2024 Niente pace – almeno per…
Dalla Nostra Inviata Speciale EDITORIALE Federica Iezzi Gaza City, 20 dicembre 2024 In Medio Oriente…
Speciale Per Africa ExPress Raffaello Morelli Livorno, 12 dicembre 2024 (1 - continua) Di fronte…
Africa ExPress Cotonou, 18 dicembre 2024 Dall’inizio di settembre 2024 è attivo il Centro Ostetrico…
Dal Nostro Corrispondente Sportivo Costantino Muscau 17 dicembre 2024 Un festival panafricano. In Arabia, Europa,…