Speciale per Africa-ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 14 aprile 2015
Esattamente un anno fa, era la notte tra il 14 e 15 aprile 2014, a Chibok, una città che conta poco più di sessantaseimila abitanti, per lo più cristiani, vengono rapite 276 studentesse. Le ragazze si trovano in un collegio della cittadina per sostenere gli esami di fine corso. Non volevano perdere un intero anno scolastico, la possibilità di iscriversi in una scuola superiore o all’università, visto che lo Stato del Borno a marzo ha chiuso la maggior parte degli istituti, perché incapace di controllare le scuole, di proteggere i giovani dai continui attacchi dai militanti di Boko Haram (http://www.africa-express.info/2014/03/15/le-autorita-nigeria-boko-haram-attacca-le-scuole-e-allora-noi-le-chiudiamo/).
Boko Haram, che liberamente tradotto significa: “l’educazione occidentale è peccato”, raggiunge con questa azione spettacolare il suo scopo. Lo Stato nigeriano, con la chiusura degli edifici scolastici, ha ammesso la sua totale sconfitta e ancora oggi, dopo oltre un anno dalla tragedia che per “un attimo” ha commosso il mondo intero, non è riuscito a contrastare in modo efficacie le continue offensive dei terroristi islamici.
Ci si chiede inoltre, come mai l’esercito nigeriano non sia intervenuto nel caso specifico di Chibok, pur essendo stato avvertito ben quattro ore prima che avvenisse il sequestro di massa (http://www.africa-express.info/2014/05/10/amnesty-quattro-ore-prima-avevamo-avvisato-militari-che-avrebbero-tentato-di-rapire-le-300-ragazze/).
Il 5 maggio 2014, in un video, inviato all’AFP, Abubakar Shekau, leader del gruppo terrorista, rivendica il sequestro di duecentosettansei ragazze. “Venderò duecentoventitre di loro come schiave – sottolinea il leader terrorista – perché l’educazione occidentale deve cessare. Le donne devono essere mogli e basta. Non devono essere istruite”. Nel video Shekau chiede inoltre la liberazione di alcuni militanti di Boko Haram, prigionieri nelle galere nigeriane.
Dopo il rapimento delle ragazzine di Chibok, la Nigeria chiede aiuto alla comunità internazionale che risponde con un meeting a Parigi, il 17 maggio 2014, al quale erano presenti i capi di Stato della Nigeria, Ciad, Niger, Camerun, Benin, Francia, nonché rappresentanti dell’Unione Europea, del Regno Unito e degli Stati Uniti d’America. Nella capitale francese si discute della sicurezza in Nigeria, del coordinamento degli aiuti per combattere i terroristi e come proteggere la popolazione civile. L’aiuto dei Paesi occidentali e del vigile occhio dei loro satelliti spia verrà poi inspiegabilmente rifiutato.
Per settimane l’hashtag #BringBackOurGirls” è il più gettonato dai social network e dai media. Ora è praticamente scomparso. Infatti, Malala Yousafzai, premio Nobel per la Pace 2014, nel suo messaggio di poche ora fa, ricorda il rapimento delle ragazze di Chibok con queste commoventi parole: “Il mondo dovrebbe fare molto di più, non ha aiutato abbastanza”.
Sì, ci si indigna solo al momento dell’emergenza. Si piange per un fatto di coscienza, non per un coinvolgimento reale. Terminate le lacrime, finito il pianto, si dimentica.
Alcune studentesse sono riuscite a scappare, ma dove sono le altre ragazze di Chibok ancora in mano ai loro aguzzini? Goodluck Jonathan, presidente uscente della Nigeria, è stato criticato dal mondo intero per non aver fatto abbastanza per rintracciare, trovare, riportare a casa le ragazze rapite. Il neo-eletto, ex-golpista, ex-generale Muhammadu Buhari, sarà proclamato presidente il prossimo 29 maggio; durante la sua campagna elettorale aveva promesso a gran voce: “Schiaccerò i ribelli”. Vedremo se i genitori potranno riabbracciare le loro figlie.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
Nella foto in alto Malala Yusufzai, in basso le ragazze rapite a Chibok un anno fa