Furia iconoclasta dell’ISIS: in pericolo il patrimonio artistico in Libia

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Speciale per Africa ExPress
Barbara Ciolli
25 dicembre 2014

In Iraq l’Isis ha distrutto a martellate e colpi di kalashnikov statue millenarie delle civiltà tra il Tigri e l’Eufrate. In Siria i siti archeologici sono stati depredati e ridotti in macerie, come i musei e i luoghi di culto di confessioni religiose diverse dall’Islam sunnita. In Medio Oriente, la furia iconoclasta dell’Isis si è abbattuta, nel giorno di Pasqua, contro la chiesa dell’antico insediamento cristiano di Tel Nasri. A una sorte analoga va incontro il Nord Africa, ricco di rovine fenice, greche e romane: in particolare la Libia tornata a ospitare campi di addestramento per combattenti di al Qaeda e anche del cosiddetto Stato islamico.

Meno noti di Cartagine, l’odierna Tunisi, sono i resti archeologici di Cirene, tra le prime colonie greche, poi città romana, che ha dato il nome alla Libia orientale, con il tempio di Zeus più grande del Nord Africa e anche del Partenone di Atene. O l’imponente teatro romano di Sabrata, patrimonio dell’umanità dell’Unesco nell’antico porto fenicio. Cirene è a pochi chilometri da Derna, la roccaforte libica dell’Isis dove si tagliano teste e chi suona strumenti e fuma sigarette viene fustigato pubblicamente. Sabrata è a una settantina di chilometri da Tripoli infiltrata da cellule jihadiste. Pure la capitale libica famosa per la piazza Verde dei proclami di Muammar Gheddafi (dal 2011 piazza dei Martiri) è poggiata sulle rovine della città fenicia Oea, conquistata e ampliata dai romani.

Isis tempio sufi distrutto Libia (Twitter)

L’arco di Marco Aurelio del 165 d.C., restaurato dagli italiani a Tripoli, è un monumento d’inestimabile valore, come la cittadella archeologica di Leptis Magna, 130 chilometri a sud. Anfiteatri e teatri, terme, acquedotti romani, fori e colonnati, perfettamente conservati, ne fanno la Efeso del Nord Africa. Il suo Museo archeologico nazionale è uno scrigno con 108 mila monete bizantine, alcune delle quali rarissime, note come il “tesoro di Misurata, il più grande ritrovamento di monete del mondo antico”. Insediamenti pre-islamici della Libia, meno grandi ma egualmente di pregio, sono i resti delle colonie greche di Tolemaide e Apollonia, sulle coste della Cirenaica.

Le rovine della Provincia romana d’Africa sono più vicine all’Italia – non solo geograficamente – dei musei di Ninive (l’odierna Mosul) e dei reperti assiri barbaramente spaccati dagli integralisti. Nel Medioevo in Nord Africa passarono i vandali e l’archeologo Hafed Walda, ex direttore degli scavi a Leptis Magna e nella delegazione libica all’Unesco, teme nuove orde: “Le statue che rappresentano essere umani potrebbero essere distrutte. Al momento i jihadisti hanno messo gli occhi sui grandi musei con collezioni pregiate di sculture greche e romane”, ha ammonito. Per Isis, al Qaeda e altri gruppi fondamentalisti la raffigurazione di idoli e divinità è “haram” (peccaminosa).

Isis tempio sufi distrutto Libia 2 (Twitter)

Ma tutti i siti archeologici sono a rischio saccheggio e devastazione, com’è successo in Siria, per il contrabbando di opere d’arte. Sulle coste libiche, dov’è la maggior parte delle rovine, il territorio è in balia delle milizie, soprattutto nella Cireanica contesa tra gruppi rivali di jihadisti: Ansar al Sharia, al Qaeda, Isis e varie sigle minori. A Derna, l’amministrazione dell’Isis ha bandito le statue: uomini incappucciati di nero sono stati ripresi a distruggere a picconate un cavallo di bronzo. Come già in Siria e in Iraq, un tempio sufi è stato preso a martellate e infine spianato con le ruspe: le immagini, non databili, sono state diffuse da una cellula Isis di Tripoli.

In tutto sono cinque i siti archeologici libici patrimonio dell’Umanità. Tra questi, anche l’antica oasi berbera nel deserto di Ghadames, che l’Unesco chiama la “perla del deserto”. Nella città vecchia tra le dune ci sono tracce di insediamenti risalenti al 3.000 a.C. E anche il profondo sud, tra i monti Tadrart Acacus del Sahara, nasconde incisioni preistoriche risalenti al 12.000 a. C., un museo all’aperto da sfregiare o depredare. In parte già accaduto dopo la caduta del regime, con la maggioranza degli scavi aperti e incontrollati, alla mercé di ladri e trafficanti. L’archeologo libico Fadl al Hassi ha denunciato almeno 15 siti razziati dal 2011: da Sirte sono sparite dozzine di reperti antichi, da una banca di Bengasi 8 mila monete dell’epoca di Alessandro Magno.

Ma con l’Isis potrebbe andare molto peggio. Tutto ciò che non è islamico viene aggredito. Mohammed al Shelmani, a capo del Dipartimento archeologico di Bengasi, ha paventato uno “scenario iracheno”. Per salvare il patrimonio a rischio, i responsabili libici si stanno organizzando per trasportare i manufatti anche all’estero, sotto la tutela e con l’aiuto dell’Unesco. Alcuni musei, come l’al Saraya al Hamra (il famoso museo del Castello rosso) di Tripoli, sono stati chiusi per il timore degli sciacalli. Dal 2014 i vertici dell’Unesco hanno richiamato alla protezione del “patrimonio culturale unico della Libia”. Ma in zone di guerra e devastazioni, l’arte è sempre tra le ultime preoccupazioni.

Barbara Ciolli
barbara.ciolli@tin.it
@BarbaraCiolli

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