Speciale per Africa Express
Albert Galmot Akori
Lomé, 7 aprile 2015
Il Sahara, il territorio dove vivono i tuareg, da decenni è teatro di una lotta armata. Una minoranza di attivisti si contrappone alle autorità di Niamey (Niger) e di Bamako (Mali). I tuareg costituiscono un ramo del vasto insieme berberofono che popola una gran parte dell’Africa del Nord-Ovest (Maghreb, Sahara e Sahel). Il loro numero è stimato fra 1 milione e 1 milione e mezzo, le sono localizzati nel Sahara centrale e gli adiacenti confini saheliani. La loro zona d’insediamento si estende su 2,5 milioni di chilometri quadrati, l’equivalente dell’Europa Occidentale e si ripartiscono in numero ineguale fra cinque stati: Burkina Faso, Libia, Algeria, Mali e Niger.
Dagli inizi degli anni Sessanta alla loro tradizione si è sovrapposta un’appartenenza nazionale che condiziona in modo diverso il sistema di vita quotidiano di questa popolazione divisa nei cinque Stati nati dalla decolonizzazione. Questo fattore “nazionale” – da sempre considerato una collocazione artificiale imposta a una popolazione nomade abituata a non considerare le frontiere – ha impedito la costituzione di un movimento tuareg unico.
Tuttavia, la radicalizzazione tribale e regionale costituisce l’elemento preponderante di ogni movimento. Infatti, la scena insurrezionale tuareg non cessa di sgretolarsi a causa di liti fratricide. In questa situazione troviamo il canovaccio jihadista, peraltro non nuovo.
E’ stato, infatti, tirato in ballo regolarmente, dapprima, come pretesto alla guerra anticoloniale condotta dai tuareg nel 1919 e finita con la disfatta totale della loro resistenza, poi, successivamente, ad ogni tentativo contro i regimi autoritari degli Stati postcoloniali, formati in funzione degli interessi del vecchio impero coloniale.
Il pretesto – falso – di un supposto amalgama fra ribelli tuareg, islamisti e terroristi, non è altro che una comoda scorciatoia per sradicare, facendola passare come lotta contro il terrorismo, ogni contestazione politica da parte tuareg e ogni dichiarazione o azione che potrebbe ledere gli interessi dei grandi attori politici ed economici della scena sahariana.
Precisa infatti un documento del CNRS (Centre national de la recherche scientifique) francese: “Terroristi, islamisti, trafficanti, sequestratori, ostaggi, ladri, stupratori, strangolatori, usurpatori minoritari, indipendentisti illegittimi, avventurieri senza programma politico, attivisti oscurantisti e quasi medioevali, e come coronamento finale potenziali distruttori di manoscritti tesoro dell’umanità. Il buon vecchio scenario coloniale del terrore barbaro e della demonizzazione dei ribelli tuareg del Mali la si trova in prima pagina, proprio nel momento in cui viene dichiarata il 6 aprile 2012 la nascita dell’indipendenza della repubblica dell’Azawad da parte del MNLA (Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad). Così viene stroncata l’aspirazione all’indipendenza di un popolo malmenato per cinquant’anni da uno stato ‘democratico’ sgradito nella zona saharo-saheliana”.
Il problema della questione saharo-saheliana non si gioca per niente su scala locale riguarda, infatti, tutto il sistema economico mondiale e la spartizione delle zone d’influenza fra le grandi potenze con l’entrata in gioco di nuovi attori (americani, cinesi, canadesi, ecc.), cosa che ha modificato lo scenario del vecchio paesaggio coloniale.
L’ambito accesso alle ricchezze minerarie (petrolio, gas, uranio, oro, fosfati, ecc.) che abbondano in Niger, Libia, Algeria e Mali, secondo le più recenti prospezioni, è il punto focale di un’invisibile battaglia che si svolge proprio nel Sahara, dove le comunità locali, fino ad oggi, non hanno mai contato come tali, ma solo come leve di pressione che gli stati in concorrenza hanno cercato sistematicamente di manipolare a loro uso e consumo.
Albert Galmot Akori
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