Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 28 marzo 2015
Era cominciato alle 16, 30 di ieri e si è concluso questa mattina alle 7,12 (le 5,12 in Italia) l’attacco degli shebab contro l’hotel Maka Al Mukarama, uno dei più popolari di Mogadiscio, nell’omonima strada che porta al parlamento nel centro della città. I miliziani islamici sono stati uccisi tutti, ma avevano seminato l’edificio di trappole esplosive, così gli uomini dell’”Alfa Team”, il corpo scelto addestrato dagli Stati Uniti, entrati dal tetto, dopo aver eliminato i terroristi che si erano barricati lassù, hanno dovuto muoversi tra le stanze e i corridoi con la massima attenzione. Insomma gli assalitori hanno tenuto le posizioni per quasi 15 ore. Non c’è ancora un bilancio ufficiale dei morti e non si sa esattamente quanti fossero i terroristi.
Un comunicato delle autorità somale sottolinea che prima di fornire il bilancio esatto delle vittime, occorre capire quanti si sono salvati scappando, specie dalle finestre, e identificare i cadaveri. La strada Maka Al Mukarama, dove si trova l’hotel è ancora chiusa perché “va messa in sicurezza”. I terroristi erano ben armati ed equipaggiati con mitragliatrici leggere di tipo LMG (Light Machine Gun)
L’attacco degli shebab (il gruppo si definisce la filiale somala di Al Qaeda) si è svolto con un copione già ben collaudato: prima un kamilaze fa esplodere un’autobomba davanti alla porta dell’edificio da assalire, quindi un commando, sparando all’impazzata e lanciando granate, entra nel palazzo e tiene le posizioni finché può.
Le guardie, tra cui alcuni elementi dell’Alfa Team, hanno posto subito resistenza, ma a favore degli assalitori ha giocato l’effetto sorpresa.
Sembra che i morti siano una trentina e “tra questi l’ambasciatore somalo in Svizzera, Yussuf Mohamed Ismail Beri Beri”, ha confermato ad Africa ExPress il rappresentate del governo di Mogadiscio a Nairobi, Mohammed Ali Nur “Americo”. Beri Beri è stato colpito da diverse pallottole. Trasferito immediatamente in ospedale per lui non c’è stato nulla da fare. L’ambasciatore in Germania è riuscito a mettersi in salvo scappando dalla finestra.
In un primo tempo sembrava che gli assalitori avessero catturato alcuni ostaggi, ma da alcune testimonianze degli scampati. Si evince che abbiano preferito ammazzare a sangue freddo chiunque incontrassero sul loro cammino: persone inermi e senza colpa. Sembra che il commando fosse formato da 9 terroristi, molti dei quali uccisi con la prima reazione delle forze dell’ordine. Ieri sera, barricati, probabilmente sul terrazzo, ne erano rimasti solo due o tre.
Il Maka al Mukarama, aperto alla fine degli anni ’80 e più volte devastato dalla guerra, appartiene all’ex presidente ad interim, Ali Mahdi che prese il posto di Siad Barre dopo la rivolta del gennaio 1991, quando il dittatore fu cacciato. Non esercitò mai veramente il potere perché gli si oppose il generale Mohammed Farah Aidid. Tra i due scoppiò la prima guerra civile che nel novembre 1991 provocò la distruzione di Mogadiscio i cui palazzi furono sventrati dalle cannonate: compreso l’albergo che fu ridotto in macerie. Entrambi sono del “super clan“ hawiya ma Ali Mahdi è un abgal, una tribù originaria di Mogadiscio, mentre Mohammed Farah Aidi, ucciso in battaglia il 1° agosto 1996, era habergidir. Gli habergidir costituiscono la spina dorsale degli shebab. L’albergo ha subito un altro devastante attentato il 9 novembre 2013.
Yussuf Beri Beri, dardod migiurtino, sposato con una somala naturalizzata svizzera, l’ambasciatore di Somalia presso le Nazioni Unite a Ginevra rimasto ucciso nell’attacco, è assai conosciuto in Italia dove aveva vissuto per anni in esilio assieme alla sua famiglia d’origine, durante la dittatura di Siad Barre.
Studente universitario, si era laureato in scienze politiche a Bologna (parlava italiano con un leggero accento emiliano). Subito dopo era rientrato in Somalia, ma era sempre comunque rimasto legato all’Italia. Sua sorella Mariam ha sposato un italiano e a Milano è la leader delle donne africane. L’ultima apparizione pubblica della donna in piazza del Duomo nel capoluogo lombardo durante la manifestazione di protesta contro l’omicidio dei giornalisti di Charles Hebdo da parte di un commando islamista a Parigi. Yussuf, come la sorella, credeva in una Somalia laica, democratica e in pace. Anche per questo non era amato dai fondamentalisti, anche se sembra che non fosse lui in particolare l’obbiettivo dell’operazione omicida di ieri.
“Mio fratello è stato colpito all’addome e a un braccio – ha raccontato Mariam – ma ha fatto in tempo a telefonare per chiedere aiuto. I soccorsi non riuscivano a entrare nell’edificio dove si sparava. Quando infine l’hanno raggiunto aveva perso tanto sangue. E’ arrivato all’ospedale, i medici hanno tentato il possibile per salarlo, ma non c’è stato nulla da fare. Spero solo che il suo sangue serva a portare la pace in Somalia. Era quello che voleva e quello in cui credeva Yusuf”.
Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi
Le foto sono state scattate durante l’attacco, tranne l’ultima, che mostra Yusuf Beri Beri
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