Speciale per Africa ExPress
Blessing Akele
Benin City, 16 Marzo 2015
Sono trascorsi circa cinque settimane dall’annuncio del rinvio al 28 marzo 2015, per motivi di sicurezza, delle elezioni presidenziali, previste in un primo tempo, per il 14 febbraio scorso. Subito dopo la comunicazione, sui maggiori media della Nigeria sono cominciate a essere diffuse notizie sui successi dell’esercito contro il gruppo terrorista Boko Haram, attivo nel nordest del paese. E’ stata anche continuamente sottolineata la fattiva collaborazione tra le forze armate regionali alleate, Camerun e Niger.
Un sostegno di peso spiegato con la ritrovata forza di contrasto militare dell’esercito, rimarcata anche dallo stesso segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Mon, che il 17 febbraio ha spiegato alla BBC che il governo federale della Nigeria è ora in grado di sconfiggere il terrorismo nel Paese. Una campagna ben orchestrata per convincere l’opinione pubblica che nell’ex colonia britannica sono stati ristabiliti ordine e sicurezza.
E’ vero, ma solo in parte. L’esercito nigeriano e le forze armate alleate hanno raggiunto obiettivi rispettabili: liberato donne, uomini e giovani rapiti; ammazzato alcuni membri della cellula terrorista; ripreso qualche località del nordest caduta sotto il controllo dei bokoharamisti, come la città di Baga, nello Stato di Borno. Proprio a Baga “liberata”, tra l’altro, il Presidente uscente Goodluck Ebele Jonathan, si è recato per la sua campagna elettorale, rifiutando però nell’occasione di incontrare il governatore, perché sostenitore del partito d’opposizione APC, All Progressives Congress, quello che candida ex dittatore Muhammadu Buhari alla presidenza.
Nonostante tutta l’operazione mediatica che ha mostrato grande fiducia nelle capacità del governo di risolvere gli annosi e gravissimi problemi del Paese, oggi, a meno di due settimane dalle tormentate elezioni politiche, la matassa si sta aggrovigliando ancora di più. La tensione sociale e politica e lungi dall’affievolirsi. E che fanno i due aspiranti presidenti e tutta la nomenklatura che li segue rispetto alla forte domanda di sicurezza interna non solo nel nordest ma in tutta la nazione?
I nigeriani non desideranno una tregua e/o sicurezza limitata a solo il periodo elettorale. Non hanno solo il cruccio dei bokoharamisti. Prima degli attacchi terroristici, nel Paese vi erano già ben radicati, seri e profondi problemi sociali. Uno sopra tutti: lo stato di povertà drammatica cui la maggioranza assoluta della gente è costretta.
Dopo il rinvio elettorale, il governo federale, oltre alla ferma volontà (?) di sconfiggere i terroristi, ha deciso di adoperarsi per far rientrare nelle rispettive località di origine la gente sfollata all’interno del Paese e ha abbandonato le proprie case per paura dei terroristi. La promessa è che potessero tornare a casa prima delle elezioni, per esercitare il diritto di voto.
Oggi invece salta fuori che il governo federale non conosce nemmeno il numero esatto degli sfollati perché non ha mai ordinato un censimento rigoroso degli stessi. Dunque, i profughi sono rientrati nei loro villaggi di residenza d’appartenenza? Molti difficile anche perché il numero di profughi è lievitato nelle ultime settimane. I terroristi di Boko Haram non si sono fatti per nulla intimidire dalle dimostrazioni di forza dei militari. Tutt’altro.
Ora, come poteva un governo minimamente onesto, nelle condizioni come quelle della Nigeria, sostenere che avrebbe potuto in un mese:
1) sconfiggere o comunque, ricacciare in un angolo il gruppo ribelle.
2) Far rientrare nelle proprie case o almeno nelle proprie comunità le centinaia di persone che ora hanno trovato rifugio nei campi profughi?
Erano, come si poteva facilmente immaginare, dichiarazioni politiche elettorali e inconsistenti.
L’intelligence nigeriana e tutto il governo sono consapevoli che la realtà negli Stati del nordest, quelli colpiti ferocemente da Boko Haram, è drammatica:
a) poche sono le case rimaste in piedi;
b) le strutture (pseudo) civili, tipo le scuole, le cliniche, persino qualche caserma della polizia e dei militari sono rase a suolo;
c) le strade e i campi agricoli sono minati;
d) i villaggi sono tutt’ora in balia degli attacchi mortali dei bokoharamisti.
E’ chiaro quindi che le buone intenzioni e le trionfalistiche dichiarazioni dei rappresentanti del governo e dei dirigenti degli organismi internazionali non sono credibili.
Se alle elezioni del 28 marzo il presidente uscente Goodluck Jonathan non dovesse raccogliere sufficienti voti in quei cinque Stati del nordest colpiti dal terrorismo, non potrà raggiungere il livello di percentuale richiesto dal calcolo complessivo dei voti espresso in tutti gli Stati della federazione, necessario per essere eletto.
E lo sa il presidente uscente, perciò, in queste ultime settimane, è disperatamente in cerca del sostegno dei Paesi del nord Africa, vedi il colloquio con il presidente egiziano Al Sisi e il diniego di colloquio, il 12 marzo 2015, ricevuto da parte di re Mohammed VI del Marocco che, a quanto è emerso, non gradisce coinvolgimenti ed interferenze.
Anche il candidato dell’opposizione, l’ex dittatore Muhammud Buhari, cerca appoggi. Il 26 febbraio 2015 è stato invitato a Londra dalla prestigiosa Chatham House ossia, ‘The royal institute of international affairs”, per disquisire sulle prospettive di consolidamento della democrazia in Africa e per inciso, sulla transizione democratica in Nigeria. Sembra uno scherzo, ma sono fatti.
Tirando le somme, nessuno dei due contendenti ha le carte in regola per vincere le elezioni, già imbrogliate ab origine. I terroristi da parte loro hanno giurato di impedire laddove sono forti, l’esercizio del voto. Il 28 marzo s’avvicina, I nigeriani aspettano preoccupati, il mondo guarda e attende i due candidati al varco: s’accuseranno a vicenda il giorno dopo le elezioni, di brogli oppure, sapranno reggere sino in fondo la recita di uomini civili di un Paese democratico?
La prospettiva più probabile che dal voto escano due vincitori, con un unico risultato: la catastrofe. E’ la minaccia che incombe sulla giovane (1999) democrazia nigeriana.
Blessing Akele
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