Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 8 marzo 2015
Nella notte tra il 14 e il 15 aprile 2014 furono rapite quasi trecento ragazze in una scuola di Chibok, nel nord-est della Nigeria. La maggior parte sono ancora in mano ai loro sequestratori. Solo una sessantina è riuscita a scappare dalle fauci dei militanti di Boko Haram. Oggi, a distanza di quasi un anno, quasi nessuno le ricorda, fanno parte di un “lontano” passato che non ci riguarda. Eppure, laggiù, nel nord-est della Nigeria, così flagellata dagli incessanti attacchi dei terroristi ci sono mamme e papà, fratelli e sorelle, che attendono il loro ritorno. Il loro dolore si fa più acuto quando una bambina/ragazza kamikaze si è fatta esplodere, perché potrebbe essere la loro figlia.
Giovani, giovanissime non solo rapite, private dagli affetti più cari, ora sono anche schiave. Stavano per sostenere gli esami di fine corso per avere un’istruzione, un futuro. Sono state tradite due volte: prima di tutto dallo Stato, che non ha saputo e voluto proteggerle, e che non mostra volontà alcuna per liberarle e poi dai “Grandi” della terra che durante le prime settimane avevano fatto tante promesse. I genitori ci avevano creduto!
E vogliamo parlare degli stupri di massa, che altro non sono che vere e proprie armi da guerra? Senza andare lontano nel tempo, l’autunno scorso sono state stuprate oltre duecento donne nel villaggio di Tabit, nel Darfur da soldati sudanesi, incoraggiati dal proprio governo di compiere questo vile, drammatico atto. Un crimine contro l’umanità. (http://www.africa-express.info/2015/02/15/ordine-ai-soldati-sudanesi-stuprate-tutte-le-donne-di-quel-villaggio/)
Ragazze e donne che resteranno segnate per tutta la vita. Non solo nell’anima e nel corpo, ma anche di fronte alla società, che li additerà per sempre come “ecco la ragazza stuprata dai soldati sudanesi”. Difficilmente troverà un marito e se è già sposata, il coniuge potrà sempre respingerla, perché ormai è impura, è stata di un altro.
In Africa ed in Medio Oriente sono circa 125 milioni le bambine e donne che sono state sottoposte alla mutilazione degli organi genitali femminili, comunemente conosciuta come FGM (Female Genital Mutilation) o infibulazione o circoncisione femminile. Non è per nulla una pratica islamica e non c’è niente in proposito nel Corano. Si tratta invece di un’usanza faraonica, che proviene dall’antico Egitto e in alcune regioni dell’Africa sub sahariana è stata adottata da da comunità cristiane e animiste. Generalmente la mutilazione viene effettuate sulle bambine che hanno raggiunto 10/13 anni: a volte anche prima. Una vera e propria barbaria che impedisce alle donna di raggiungere l’orgasmo. (http://www.africa-express.info/2013/07/24/linfibulazione-una-piaga-che-affligge-130-milioni-di-donne/)
Una donna che non è stata sottoposta a infibulazione, viene considerata poco seria, non degna di diventare sposa e viene messa al bando dalla società.
Due terzi dei 774 milioni di adulti analfabeti nel mondo sono donne. In Africa la situazione più drammatica è in Somalia, dove il 98 per cento delle ragazzine tra 7-16 non va a scuola, seguita dal Niger con il 77 per cento, Liberia 76 per cento, Mali 75 per cento, Burkina Faso 71 per cento ed infine la Guinea con il 68 percento. Nella maggior parte di questi Paesi la scuola non è gratuita, ma anche dove lo è, la famiglia deve sostenere le spese per i libri, le divise e quant’altro. Quando manca anche il cibo in una casa anche i ragazzini devono lavorare e così devono rinunciare alla scuola. E se ci sono figli maschi in una casa, i sacrifici si fanno per loro. Eppure l’istruzione potrebbe cambiare il mondo: le figlie dell’Africa hanno diritto all’istruzione. Con un lavoro qualificato potrebbero contribuire non solo al benessere della propria famiglia, ma anche alla crescita economica del proprio Paese.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes