Dalla caduta del colonnello Gheddafi nel 2011,
in Libia è in corso una guerra civile permanente che i vari governi di transizione
e i negoziati promossi dalle Nazioni Unite non sono riusciti a placare.
Il vuoto creato dalla rivoluzione
ha favorito l’ideologia islamista, importata dai combattenti jihadisti
provenienti dalla Siria e dall’Iraq.
Africa ExPress
Roma, 20 febbraio 2014
Sin dal mese di settembre del 2014 sono arrivate le prime segnalazioni sulla presenza dello Stato Islamico nella caotica situazione in Libia, o meglio durante gli scontri tra le milizie filo governative di Tobruk e quelle jihadiste di Tripoli.
Dopo la conquista della città di Derna, i miliziani dell’Is e il gruppo Ansar al Sharia hanno suggellato la loro alleanza sferrando un attacco – dopo quello più eclatante all’Hotel Corinthia di Tripoli del 27 gennaio – all’impianto petrolifero della Total nella regione di al Jafra, a sud della città di Sirte.
In effetti, lo Stato Islamico si è sempre distinto dalle altre formazioni jihadiste per una strategia più efficace, come la ricerca di obiettivi concreti, la conquista delle fonti di potenziale ricchezza e uno stretto controllo dei territori occupati, senza contare l’indiscussa capacità di stringere alleanze strategiche (in Libia, i sostenitori del Califfo stanno oggi cercando di garantirsi i finanziamenti necessari, da una parte il petrolio, dall’altra i sequestri di persona e il business del traffico di essere umani).
Secondo Aref Ali Nayed, ambasciatore libico presso gli Emirati Arabi Uniti e consigliere del premier Abdullah al Thani, i risultati sono arrivati in poco tempo: “ogni momento che passa Isis è più forte, e commette atrocità ovunque […] dopo aver messo piede in Libia nella città di Derna, lo Stato Islamico controlla sette centri urbani, puntando ad estendere i territori di conquista per trasformare il territorio in una piattaforma da dove lanciare attacchi contro l’Europa”.
Le due istituzioni libiche che si combattano da anni attraverso le varie milizie – il governo e il parlamento di Tobruk, frutto delle elezioni di giugno del 2014, riconosciuti dalla comunità internazionale ma sconfessati dalla Corte costituzionale e con il premier Adullah al Thani, e il governo e il parlamento di Tripoli, riesumati dai jihadisti dalla vecchia Assemblea Transitoria con il premier Omar al Hassi – devono oggi fare i conti con questo nuovo attore, pronto a sfruttare l’assenza di strutture dello Stato, la presenza incontrollata di armi e l’estrema porosità dei confini, senza contare le risorse sia naturali che finanziarie che la Libia può offrire.
Luogo di transito e addestramento per i terroristi, il paese è stato da anni la tappa intermedia ideale per i jihadisti intenzionati ad entrare in Turchia per raggiungere la Siria. Nel mese di ottobre del 2014, l’esercito regolare libico aveva già individuato campi di addestramento allestiti dallo Stato Islamico per combattenti stranieri (non solo a Derna, ma anche nella zona di Sirte e di Misurata). Nelle regioni meridionali, invece, sono state individuate altre basi logistiche per combattenti integralisti, ma in questo caso di diversa matrice, o meglio per i combattenti impegnati in Mali.
L’avanzata dello Stato Islamico sembra inarrestabile. Il 12 febbraio i miliziani arrivano nel porto di Sirte, prendono il controllo della televisione governativa – ma anche di due radio locali, Radio Syrte” e “Mekmedas” – e trasmettono i rassicuranti proclami del califfo Abu Bakr al Baghdadi e i versetti del Corano. Inoltre, lanciano anche un ultimatum alle milizie filo-islamiche che controllano parte della città portuale, le stesse che operano a Tripoli con un governo parallelo molto vicino alla Fratellanza Mussulmana: “Le forze di Fajr Libya hanno tempo fino a domenica per lasciare Sirte”.
Contemporaneamente, i miliziani di Is si spingono verso il confine con la Tunisia, nella città costiera di Surman, e distribuiscono volantini con le indicazioni che devono osservare le donne, minacciando il ricorso alle armi per chi non si adegua immediatamente (il generale Khalifa Haftar, oggi al comando di interi reparti dell’esercito, ha comunque provato ad attaccare i jihadisti dell’Is a Derna ma senza successo).
In Libia agisce una galassia di gruppi jihadisti vicini a al Qaida: gli uomini di Ansar al Sharia, attivi a Derna e a Bengasi con il leader Sufyan ben Qumu, detenuto prima nel carcere di Guantanamo e poi in una prigione libica. Nella capitale sono operativi anche l’Esercito dei Mujaheddin, la Brigata Rafallah al Sahati e la Brigata dei Martiri del 17 Febbraio (tutti i miliziani hanno già giurato fedeltà ad al Baghdadi). Gli altri gruppi qaedisti sono Aqmi e el Muwaqiin bi Dam. Il primo è “al Qaida nel Maghreb Islamico”, nato in Algeria come evoluzione del Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento, e il secondo è “Coloro che firmano con il sangue”, guidato dal temibile Mokhtar Belmokhtar (entrambi i gruppi sono operativi in Cirenaica e nel Fezzan).
In sintesi, in Tripolitania agiscono le milizie islamiste alleate al governo di Tripoli (Alba Libica e Misurata), mentre in Cirenaica sono di casa le milizie jihadiste di ispirazione salafita, come Ansar al Sharia e oggi anche lo Stato Islamico.
A Tobruk operaagiscono le forze armate del generale Khalifa Haftar, vagamente laiche, alleate dell’Egitto e tenute in considerazione dalla comunità internazionale.
Infine, nella regione meridionale del Fezzan domina la logica delle realtà tribali, con la presenza di Taureg (che sostengono Misurata), di Tebu (alleati del generale Haftar) e di Amazigh, al momento non schierati. Si tratta di un’area estremamente vasta – al confine con l’Algeria e la Tunisia – dove si trovano alcuni dei giacimenti petroliferi più grandi del paese
Al momento, l’avanzata dello Stato Islamico sembra orientarsi verso Misurata e la capitale, ma ad altre forze collegate potrebbe essere lasciato il compito di penetrare nelle regioni meridionali, proprio come sembra che abbia intenzione di fare Boko Haram.
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