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Congo, atrocità, massacri, disperazione, ricchezze enormi ma diritti umani zero

Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 17 gennaio 2015

Quella che era solo un’ipotesi è ora diventata una realtà: alcune compagnie minerarie di proprietà occidentale o cinese, che operano dell’est del Congo Kinshasa, hanno affidato la sicurezza dei loro giacimenti alle feroci milizie tribali Mai Mai, accusate di genocidio, stupro sistematico e crimini contro l’umanità. Secondo il prestigioso centro culturale di elaborazione politica  Egmont, che ha sede a Bruxelles ed è sostenuto e finanziato dal ministero degli esteri belga e dall’Unione Europea, le società che hanno in mano le concessioni, per l’estrazione si avvalgono di piccoli operatori locali con i quali le tensioni sono diventate quasi quotidiane. Da qui la loro necessità di difendere il business. Come? Utilizzando – e pagando profumatamente – le milizie tribali che si sono macchiate in questi anni di crimini orrendi e contro l’umanità.

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Il rapporto della Egmont, diffuso nel dicembre scorso, riguarda gli effetti della legge americana conosciuta come Dodd-Frank, ma il cui nome ufficiale è Wall Street Reform and Consumer Protection Act, la riforma di Wall Street con la quale il presidente Barak Obama ha cercato di regolarizzare la finanza statunitense, incentivando al tempo stesso una tutela dei consumatori e del sistema economico USA. Le regole, tra l’altro, riguardano il commercio di minerali tra il Congo-K e gli Stati Uniti e sanciscono la trasparenza della catena di approvvigionamento dei cosiddetti “conflict minerals”, cioè delle materie prime che provengono da zone di guerra. Lo studio rischia di influenzare gli scambi di minerali tra i due Paesi (valore 500 milioni di dollari) il prossimo anno.

Secondo il rapporto della Egmont, che cita la Commissione Episcopale Congolese che si occupa di controllare lo sfruttamento delle risorse naturali, l’azienda Mining and Processing Congo, titolare di 4 permessi di esplorazione a Bisie nel Nord Kivu (stagno, cassiterite e minerali di elementi chiamati “terre rare”, i lantanoidi, usati nell’alta tecnologia sofisticata, come i motori ibridi), ha stipulato un accordo con il gruppo Mai Mai Sheka, per difendere le sue proprietà.

La Mining and Processing Congo, fu acquistata nel 2012 dalla società madre, la canadese Alphamin Resources, che a sua volta la comprò dalla Kivu Resources basata alle Mauritius. In realtà le tre società hanno una struttura societaria intrecciata con soci sudafricani, britannici e canadesi.

Le milizie Mai Mai Sheka (il nome ufficiale è Nduma Defense of Congo, NDC) operano nel territorio attorno a Walikale, a nord ovest di Goma, capitale del Nord Kivu, considerata la regione a più alta concentrazione di minerali preziosi e rari del pianeta. Sono comandate da Ntabo Ntaberi Sheka, un signore della guerra con un mandato di cattura sulla testa emesso dal Tribunale Penale Internazionale. Nel luglio 2011 le Nazioni Unite hanno pubblicato un dettagliato rapporto sui crimini commessi da lui e dai suoi uomini dal 30 luglio al 2 agosto 2010. Vengono documentati almeno 387 casi di stupro, 300 donne, 23 uomini, 55 ragazze e 9 ragazzini.

Le violenze sono state commesse in 13 villaggi sulla strada che unisce Kibua e Mpofi, attorno a Walikale uno dei centri di smistamento del coltan. Personalmente Sheka, che nel novembre 2011 aveva tentato di candidarsi alle elezioni del parlamento congolese, aveva ordinato ai suoi uomini di violentare i civili. Ora protegge il minerale destinato in Occidente pagato profumatamente con soldi che arrivano dalle nostre banche e sono depositato in qualche conto in un paradiso fiscale.

Poco più a est di Walikale, nel territoorio di Masisi, opera la Mwangachuchu Hizi International di proprietà di Edouard  Mwangachuchu, un ex allevatore di bestiame tutsi che durante le violenza etniche del 1995 ha perso tutto e le sue mandrie sono state sgozzate. Scappato negli Stati Uniti ha chiesto e ottenuto asilo politico. Non è dato sapere se ha conquistato anche la cittadinanza americana, ma sembrerebbe proprio di sì, visto che è stata concessa ad altri nelle sue condizioni. La Mwangachuchu Hizi International è oggi la più importante compagnia di estrazione ed esportazione del coltan.

Il rapporto della Egemont ricorda, tra l’altro,  la rivalità nella stessa provincia tra la Mwangachuchu Hizi internazional e una cooperativa guidata dal deputato provinciale Robert Seninga, la Cooperamma (Cooperative des Exploitants Artesanaux Miners de Masisi).  Mwangachuchu esporta coltan e possiede una concessione di 25 chilometri quadrati a Rubaya mentre Seninga (per conto di compagnie straniere)  compra i suoi minerali da piccoli scavatori che occupano la quasi totalità della concessione e che, secondo alcune testimonianze, sarebbero appoggiati dal gruppo Mai Mai Nyatura.

Ma non sono solo gli occidentali a servirsi delle sanguinarie milizie tribali. I Mai Mai Yakutumba operano nel Sud Kivu (Misisi) e in Katanga (Kisenge-Mpokoto) a difesa delle concessioni di 11.400 chilometri quadrati (cioè più dell’Abruzzo) della società mineraria Casa Mining basata nelle British Virgin Island e di proprietà, per il 30 per cento della cinese Zijin Mining. E i cinesi, si sa, che né a casa loro, né tanto meno in Africa, vanno troppo per il sottile con il rispetto dei diritti umani. La Casa Mining ha intenzione di chiedere di essere quotata alla borsa di Toronto.

 La milizia Mai Mai Yakutumba è formata soprattutto da combattenti  di etnia bembe , un gruppo etnico che spesso si è alleato con gli hutu contro i tutsi nella guerra ormai senza età che insanguina la regione dei Grandi Laghi. In particolare aveva stretto un’alleanza con Agathon Rwasa leader il gruppo hutu burundese (Forces pour la Libération Nationale, FNL), responsabile dell’omicidio, nel dicembre 2003, dell’irlandese Monsignor Michael Courtney, nunzio apostolico nel piccolo Paese africano, oltre che di vari orrendi massacri di rifugiati tutsi come quello orribile del 15 agosto 2004, nel capo profughi di Gutumba, in cui furono barbaramente trucidate a sangue freddo 159 persone, in gran parte bambini, colti nel sonno.

I massacri, i rapimenti, gli stupri di massa perpetrati dai Mai Mai nel Congo orientale e meridionale non si contano. Conosciuti come milizie tribali sono ideologicamente confusi ma militarmente ben determinati. I capi conoscono perfettamente i trucchi del reclutamento a base di superstizioni, magia nera, credenze tribali, sesso, miraggio di facili guadagni, religioni tradizionali, intimidazioni. Sanno risvegliare terrori atavici e scavare nel più profondo della psiche umana e in questo si fanno aiutare da pozioni inebrianti a base di droghe ricavate da erbe e funghi “magici”.

Mai vuol dire acqua, praticamente in tutte le lingue dell’Africa centrale; magari la parola si corrompe modificandosi leggermente (in Swahili, la lingua franca parlata dal sud dell’Uganda fino al Katanga, in Congo-K, per esempio si trasforma in maji). I guerrieri spesso si vestono in modo tradizionale con gonnellini e ornamenti di rafia e indossano maschere per terrorizzare chi gli si para davanti, ma non imbracciano più archi e frecce e non maneggiano lance, bensì micidiali fucili mitragliatori, lanciarazzi, bazooka. Prima di affrontare il nemico, talvolta a petto nudo, vengono sottoposti a un profondo lavaggio del cervello e convinti che, se si cospargono il corpo con un olio magico, le pallottole, al contatto con la pelle, si sciolgono e diventano acqua. Da qui, Mai Mai. Per diventare immortali, però, bisogna rispettare alcune regole che variano da gruppo a gruppo. Le più comuni sono: non avere rapporti sessuali la sera prima della battaglia, non stringere la mano agli sconosciuti (infatti a me non la diedero) non bere alcool, ma una pozione miracolosa.

I villaggi sono terrorizzati da queste bande armate i cui capi – è bene sottolinearlo – non sono assolutamente selvaggi come si può credere, ma spesso hanno studiato all’estero o quanto meno a Kinshasa, la capitale del Congo, parlano correntemente francese e, spesso, masticano anche inglese. E soprattutto hanno conti nelle banche off shore.

Un po’ di tempo fa ho intervistato un gruppo di guerrieri mai mai sulle alture di Sakè, un villaggio a pochi chilometri da Goma, la capitale del Nord Kivu, da cui si gode una splendido panorama sul lago omonimo, tra vulcani con il pennacchio e giungla tropicale. Se attorno non ci fosse stata disperazione e morte godersi quello spettacolo sarebbe stato un’immensa gioia. Ho fatto varie domande, tra cui: “Ma in combattimento non hai visto qualche tuo compagno ucciso dai nemici?”. “Certo – è stata la sconcertante risposta -. Certamente non avrà rispettato qualcuna delle regole. Io le rispetto: non morirò in battaglia”.

Ma ancora più sbalorditivo il commento del sacerdote della chiesa cattolica di Sakè quando gli ho raccontato la cosa ridendoci su: “Certo è vero! Perché non ci credevi?”

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi

La canzone Coltan, scritta da Andrea Sigona, è cantata dall’autore che ne ha concesso la pubblicazione  ad Africa ExPress. Per il montaggio della foto a corredo si ringrazia Noela Levi. Un’intervista ad Andrea Sigona si trova qui.
Andrea Sigona ( https://www.facebook.com/andrea.sigona) lo trovi su twitter @andrea_sigona

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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