Massimo A. Alberizzi
25 gennaio 2015
La Nigeria sprofonda sempre più nel caos. Ieri mattina i miliziani della setta islamica Boko Haram hanno attaccato Maiduguri, importante capitale dello Stato del Borno. All’alba i soldati di Allah, appoggiati da mezzi blindati, sono penetrati nella città sparando all’impazzata. I morti sono decine, i feriti non si contano. Nello stesso momento i loro compagni hanno catturato un altro centro, Monguno, a un centinaio di chilometri a nord di Maiduguri. Lì l’esercito è fuggito senza sparare un colpo. I soldati sono demoralizzati: i loro capi, i generali e i colonnelli, si sono favolosamente arricchiti grazie alla corruzione, mentre la truppa è male armata ed equipaggiata e spesso senza paga Perché morire per difendere una casta di politici e uomini d’affari corrotti?
Abubakar Shekau, il capo dei Boko Haram l’aveva promesso: “Prima delle elezioni presidenziali: faremo fuoco e fiamme”. E’ stato di parola. Ormai il nord della Nigeria è sconvolto dalla guerra. Le strade sono insicure, non si circola se non protetti da scorte armate e si sta verificando quello che molti osservatori avevano pronosticato: l’implosione del gigante d’Africa.
Le elezioni presidenziali sono previste per il 14 febbraio. Ci sono forti pressioni perché, con le precarissime condizioni di sicurezza attuali, siano spostate.
Ieri a Lagos è arrivato il segretario di stato americano John Kerry. Ha portato la sua solidarietà alla Nigeria e incontrato il presidente Goodluck Jonathan e il suo rivale alle elezioni, l’ex generale golpista Muhammadu Buhari.
Ormai gran parte del Borno, ma anche degli Stati di Yobe e Adamawa, sono nelle mani dei fedeli di Boko Haram, il cui nome in lingua hausa vuol dire “l’educazione occidentale è peccato.
Le statistiche sul prodotto interno lordo dicono che la Nigeria oggi è la più importante economia africana e ha superato persino il Sudafrica. Sarà vero. Ma oggi in Nigeria gli squilibri sociali con una minoranza di famiglie ricchissime e una maggioranza di gente che muore di fame, è in bilico e un colpo di Stato sembra proprio alle porte.
Massimo A. Alberizzi
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