Speciale per Africa ExPress
Barbara Ciolli
25 dicembre 2014
I jihadisti di ritorno come i fratelli Cherif e Said Kouachi o Amedy Coulibaly, autori delle stragi di Parigi, si fanno le ossa nei campi per in Yemen, ma anche e sempre di più nelle aree di crisi del Nord Africa. Nei Paesi affacciati sul Mediterraneo migliaia di combattenti sono stati e vengono reclutati dalle cellule salafite per fare la guerra in Siria, Iraq e, nell’ultimo anno, in Libia.
Tra l’Italia e la Tunisia ci sono 167 chilometri. L’ex feudo del regime socialista di Ben Ali, epicentro della Primavera araba, ha dato prova di democrazia con le elezioni dell’ottobre e del dicembre scorso, per il primo Parlamento e il Capo di Stato del post rivoluzione.
Meno nota è la sua bomba sociale dei circa 3000 foreign fighters tunisini (dati della società d’intelligence Soufan Group, da stime ufficiali dei Governi del 2014 e da altre fonti), finanziati e partiti per la jihad in Medio Oriente.
Ragazzi tra i 17 e i 27 anni, disoccupati come il Mohamed Bouazizi che si incendiò accendendo le rivolte arabe. Ma anche universitari, adolescenti di 15 anni, o 30enni frustrati. Il 29enne Salim Gasmi lavorava per un commerciante in Libia, quando di colpo partì, senza dire niente alla famiglia, per raggiungere l’ISIS (Stato islamico) a Deir Ezzor, in Siria morendo poi, in battaglia, ha raccontato la sorella all’AFP. E lo studente tunisino Hamza Rejeb, già paralizzato dalla vita in giù, fu adescato via Internet dai fondamentalisti di Ansar al Sharia, per un viaggio in Siria: “Lo persuasero che era un genio, ma Hamza non lo è. Volevano solo usarlo come kamikaze”, ha detto il fratello Ben.
Stando alle autorità di Tunisi, circa 9 mila combattenti sarebbero stati bloccati alla partenza per la Siria nel Paese africano primo per foreign fighters in Medio Oriente: un “incubatore di terroristi” a tutti gli effetti, hanno commentato i media tunisini. “I jihadisti salafiti hanno fatto la scelta strategica di inviare giovani in Siria, dove addestrarsi ed eventualmente tornare a combattere in Tunisia” ha dichiarato l’esperto di movimenti integralisti Slaheddine Jourchi.
Gli ultimi dati a disposizione sui foreign fighters e sul radicalismo islamico sono le ricerche dell’americano Soufan Group e dell’inglese International Centre for the Study of Radicalization, dell’estate 2014. Nel frattempo, la crisi in Libia è ulteriormente degenerata e, questo gennaio, i media locali hanno riportato di combattenti stranieri dell’ISIS da “Tunisia, Siria, Algeria ed Egitto”, catturati nel Paese.
Particolarmente allarmante è la notizia, confermata dall’intelligence Usa, di campi d’addestramento, con centinaia di jihadisti, nell’est della Libia in mano a vari gruppi di fondamentalisti islamici. “I luoghi di training più famosi sono vicino Sirte, a Sabratha e a Derna (roccaforte dell’ISIS, ndr)”, ha specificato il funzionario libico al Sadek Ben Ali.
Altri “campi segreti” sarebbero inoltre spuntati nel sud del Paese fuori controllo: “Rifugio per gli estremisti in fuga dall’intervento francese in Mali”, ha precisato l’esperto di Libia alla Cambridge University, Jason Pack. (Per i gruppi ijhadisti in Mali leggi qui, ndr)
Gli ultimi report dei servizi segreti Usa ritengono possibile la presenza di jihadisti dell’ISIS anche vicino a Tripoli, nell’ovest del Paese. Mentre, a dicembre, un combattente dell’ISIS, l’algerino Abu Younis Djilali Mansour, è stato ucciso nell’area di Bengasi, seconda città della Libia controllata da Ansar al Sharia.
Di origine algerina erano anche i fratelli Kouachi, legati alle vecchie reti terroristiche algerine in Francia. E in Algeria, nel settembre scorso, gli affiliati all’ISIS di Jung al Khilafah (soldati del Califfato in Algeria) hanno rapito e decapitato il turista francese Hervé Gourdel.
Sia gli Jung al Khilafah sia il signore della guerra algerino Mokhtar Belmokhtar, mente dell’assalto jihadista all’impianto gasifero di In Amenas (67 morti) del 2013, hanno transitato in al Qaeda nel Maghreb (AQIM). E a gennaio il superterrorista Muktar Belmokhtar è ricomparso plaudendo ad attentati sullo stile della strage alla redazione parigina di Charlie Hebdo.
Nel 2014, i militari algerini stimavano di aver ridotto a 200, negli anni, i loro foreign fighters in Medio Oriente, ma si teme una sottovalutazione. Ancora nel dicembre 2013, le forze di sicurezza avrebbero scoperto campi d’addestramento jihadisti nel sud dell’Algeria con dentro “intere famiglie, inclusi donne e bambini”, ha riportato il settimanale tunisino ‘Akher Khabar’, generalmente bene informato.
Lo stesso vale per i circa 500 combattenti libici dei rapporti sui combattenti stranieri: potrebbero essere molti di più. “Un decennio fa, algerini, marocchini, tunisini e, in particolar modo, libici si riversarono in Iraq contro la coalizione militare e le milizie sciite del governo nascente – scrive il Soufan Group – come allora, nessuna regione ha visto più persone andare a combattere in Siria che il Nord Africa”.
Gli hub principali del flusso sono il Marocco, secondo Paese nord-africano per combattenti in Medio Oriente (almeno 3 mila) e l’Egitto, sotto osservazione più che per i suoi e foreign fighters (stimati in diverse centinaia), per la radicalizzazione interna dell’islam sunnita. In particolar modo tra i “24 gruppi di estremisti islamici, alcuni anche di pochissimi affiliati in Sinai», precisa Giuseppe Dentice, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI) specializzato nella regione.
Dal Marocco, i combattenti jihadisti arrivano poi in Siria e in Iraq, volando dalla Spagna verso la Turchia, come la compagna di Coulibaly, Hayat Boumeddiene, partita da Madrid. Oppure, attraverso l’Egitto, verso in Medio Oriente. Ma le migliaia di jihadisti possono anche fermarsi a combattere e addestrarsi in Libia. Nell’ex colonia italiana davanti a Lampedusa.
Barbara Ciolli
barbara.ciolli@tin.it
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