Speciale per Africa ExPress
Barbara Ciolli
25 dicembre 2014
Le sirene dello Stato islamico richiamano anche alla reconquista di Al Andalus, i territori spagnoli dei musulmani che, nell’età dell’oro del Califfato, si estendevano oltre l’odierna Andalusia.
Tra il 711 e il 1492 l’Islam visse il suo periodo di massimo splendore, arrivando a irradiarsi dall’Afghanistan al sud della Gallia, in Europa. Gli anni della grande moschea di Cordoba e del Sultanato di Granata. Delle scorrerie dei mori da Ceuta, attraverso Gibilterra verso Algeciras, poi Malaga, Siviglia, sino alla roccaforte inespugnabile dei baschi.
Altre immagini di luoghi e monumenti famosi spagnoli, incluse una spiaggia e una statua di Gesù nei Paesi Baschi, sono apparse sui social network accanto ai cartelli con le scritte in arabo: “Al Andalus”, “Siamo tutti lo Stato islamico” e “Viva lo Stato islamico”. In un video, un jihadista con un forte accento maghrebino ha lanciato in spagnolo un “avvertimento al mondo intero”: “Viviamo sotto la bandiera del Califfato islamico. Siamo pronti a morire finché non libereremo tutte le terre occupate, da Giacarta all’Andalusia, e dichiariamo che la Spagna è la terra dei nostri antenati. Ce la riprenderemo, con la potenza di Allah”.
L’attribuzione allo Stato islamico di alcuni post su Internet resta dubbia. Il quotidiano di Casablanca Al Massae ha identificato il combattente islamico del filmato come il marocchino Nouredin Maidoubi e, dopo l’ultimo video con le minacce, il ministro per la Sicurezza spagnola Francisco Martinez ha alzato il livello di allerta, per “indicatori preoccupanti” su possibili attentati nella terre di al Andalus.
Dalla proclamazione dello Stato islamico in Iraq e in Siria è forte la collaborazione tra l’antiterrorismo spagnolo e la gendarmerie di re Mohammed VI. “È chiaro che la Spagna è uno degli obiettivi della strategia di jihad globale. Non siamo i soli, ma siamo nel mirino”, ha detto il ministro degli Interni spagnolo Jorge Fernandez Diaz, per il decimo anniversario della strage alla stazione di Madrid-LaTocha (191 morti e quasi 2.000 feriti) dell’11 marzo 2004.
In Nord Africa, secondo i dati degli istituti d’intelligence Soufan Group e Centre for the Study of Radicalization, il Marocco è secondo solo alla Tunisia per numero di foreign fighters, combattenti stranieri spediti in Medio Oriente: almeno 1.500.
Come nel Medioevo dei mori contro i visigoti, il corridoio di combattenti scorre dal Marocco alla penisola iberica, attraverso le enclavi spagnole di Ceuta e Melilla e dallo Stretto di Gibilterra. Reclutati da cellule salafite sparse nei due Paesi, i foreign fighters arrivano poi in Siria e in Iraq, in genere attraverso voli dalla Spagna verso la Turchia. Ma il percorso può essere anche inverso: dalla Spagna, attraverso lo Stretto di Gibilterra verso il Nord-Africa, poi in Medio Oriente dall’Egitto.
Le ultime retate delle polizie marocchina e spagnola risalgono a una settimana fa: cinque donne, tra le quali una minorenne, fermate tra Ceuta e Barcellona, e due uomini, a Ceuta, finiti in manette, “tutti sospettati di far parte dell’organizzazione terroristica DAESH” (sigla araba dell’ISIS). Ad agosto altre due ragazze erano state bloccate a Melilla, in partenza per la guerra santa e altri arresti erano scattati nelle città marocchine di Fez, Tetouan e Fnideg.
A giugno, mentre in Iraq l’ISIS prendeva Mosul fondando lo Stato islamico, a Madrid veniva smantellata la rete di reclutamento del noto marocchino Lahcen Ikassrien, 47enne ex detenuto di Guantanamo, con ramificazioni in Marocco, Francia e Tunisia. Un mese prima, l’intelligence spagnola sgominava, nell’enclave di Melilla, una “cellula importantissima, con filiali in Marocco, Belgio, Francia, Tunisia, Turchia, Libia, Mali e Indonesia, in grado di organizzare attentati in Spagna”.
Già nel 2013, decine di sospetti terroristi islamici erano stati arrestati nella penisola iberica. A un centinaio di chilometri da Madrid, le campagne castigliane della vecchia al Andalus ospitavano anche un campo d’addestramento per mujaheddin.
Barbara Ciolli
barbara.ciolli@tin.it
@BarbaraCiolli
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