Speciale per Africa ExPress
Massimo A. Alberizzi
22 novembre 2014
Nonostante la comunità internazionale abbia insistito, il governo sudanese si è rifiutato di consentire un’altra inchiesta sugli stupri di massa avvenuti a Tabit in un villaggio nel nord Darfur. L’invito a permettere un’altra investigazione era stato rivolto dallo stesso segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon. Il capo del Palazzo di Vetro aveva chiesto di verificare le accuse rivolte da Radio Dabanga, un’emittente in onde corte che trasmette dall’Olanda, ma con reporter in giro sul terreno nella martoriata regione.
Una precedente inchiesta non aveva portato a nessun risultato. Radio Dabanga ha lanciato pesanti accuse. Le violenze sarebbero accadute il 31 ottobre. Il 2 novembre è arrivato un piccolo gruppo di caschi blu e investigatori dell’ONU, che però sono stati allontanati il 4 novembre. Il 9 novembre è arrivato un altro team di 18 persone delle Nazioni Unite che però erano accompagnate da funzionari e soldati governativi che registravano con i telefonini tutte le interviste e le conversazioni, con il chiaro intento di intimidire gli interlocutori. Nonostante ciò qualcuno è riuscito, senza essere ascoltato, a raccontare: “Siamo stati minacciati e ammoniti a non riferire e non rivelare quello che è successo qual giorno”.
Ma mercoledì il viceministro degli esteri sudanese, Abdalla al-Azrag, aveva gelato le aspettative, cercando di ridicolizzare l’ONU e il suo capo: “Vada a investigare altrove. In Sudan non commettiamo queste nefandezze”. Si vede che, Abdalla al-Azrag, non ha mai visto le foto e guardato i video che mostrano le atrocità commesse dal suo esercito o dalle milizie paramilitari organizzate dal suo governo, i terribili janjaweed, i “diavoli a cavallo” che terrorizzavano le popolazioni civili uccidendo gli uomini, rapendo i bambini e violentando le donne.
Mi verrebbe voglia di andare a Khartoum e scaraventargli sulla scrivania le fotografie dei resti delle povere studentesse di Suleya ammanettate e bruciate vive dai paramilitari complici del governo qualche anno fa. Sono immagini con la dicitura Africa Union Confidential, che non sono mai uscite dalle scrivanie dei funzionari dell’Unione Africana ad Addis Abeba, ma sono conservate nell’archivio di Africa ExPress e fanno parte delle prove che inchiodano il presidente sudanese, Omar Al Bashir alle sue responsabilità. Bashir è ricercato dal Tribunale Penale Internazionale per crimini contro l’umanità, genocidio e stupri di massa.
Un funzionario delle Nazioni Unite che lavora in Darfur (e che per motivi comprensibili motivi vuole mantenere l’anonimato) ha raccontato ad Africa ExpPress che i caschi blu e i civili della missione non hanno più libertà di movimento. “Le Nazioni Unite ci hanno tolto l’uso dele automobili. Ufficialmente per motivi di sicurezza e perché le rubano, di fatto per evitare che andando in giro a curiosare creiamo problemi e attriti tra missione e autorità. In queste condizioni non siamo di nessun aiuto alla popolazione, possiamo quindi andarcene”.
“In Sudan – raccontano altri testimoni ad Africa Express – ormai il malcontento è generalizzato. I mercati si stanno svuotando, non c’è valuta per le transazioni, le università sono in subbuglio”.
Massimo A. Alberizzi
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