Africa ExPress
15 novembre 2014
Navi da guerra italiane, tra cui la portaerei Garibaldi alla fonda a Taranto, hanno ricevuto in questi giorni l’ordine di tenersi pronte a partire per la Libia. L’allerta si è resa necessaria – hanno confermato alcune fonti militari ad Africa Express – dalla situazione nell’ex colonia che si sta deteriorando sempre più. Ormai si è scatenata una furibonda guerra per bande ed è difficile trovare il bandolo di una matassa che si è ingarbugliata a tal punto che nessuno riesce a sbrogliarla.
In settembre il parlamento libico, riunitosi a Tobruk, ha chiesto nuovamente al primo ministro uscente Abdullah al Thinni di formare il prima possibile un nuovo governo. La situazione si è aggravata dopo la perdita del controllo di quasi tutti i ministeri di Tripoli, oggi in mano a gruppi armati ostili all’attuale governo e guidati dalla milizia di Misurata. L’autorità dell’attuale parlamento è contestata dal Congresso Nazionale Generale, una sorta di parlamento rivale che è si è insediato a Tripoli e che intende nominare primo ministro Omar al Hasi.
Anche se le Nazioni Unite hanno dichiarato di riconoscere ufficialmente solo il parlamento di Tobruk (la Camera dei Rappresentanti), e quindi anche il futuro governo, quello preparato da al Hasi su richiesta del Congresso Nazionale Generale (l’ex Assemblea Costituente oggi in mano alle forze islamiste), sembra partire con maggiori possibilità di riuscita di quante non ne abbia al Thinni dopo la perdita di buona parte delle sedi ministeriali e istituzionali e dello stesso aeroporto di Tripoli.
Il Paese in mano alle milizie armate e due parlamenti che si contendono il potere hanno avuto l’effetto di allontanare la diplomazia internazionale dalla Libia e di provocare una presa di distanza anche della Lega Araba, oggi maggiormente preoccupata di contenere la minaccia regionale rappresentata dall’avanzata dello Stato Islamico con i suoi nuovi insediamenti operativi sia in Libia sia nel Sinai.
L’unico alleato effettivo del cosiddetto Parlamento di Tobruk sembra essere l’Egitto, che ne ha riconosciuto la legittimità attraverso le dichiarazioni del ministro degli Esteri Sameh Shoukry. Il Cairo si appresta anche a tentare una mediazione tra le parti insieme a Bernardino Leon, l’incaricato delle Nazioni Unite, anche se le maggiori preoccupazioni egiziane risiedono nel continuo afflusso di armi che potrebbe essere fermato, secondo il ministro, solo da una forza militare europea attiva nel Mediterraneo.
Nel frattempo, il governo ha rivolto all’esercito un appello disperato per riconquistare Tripoli e ai giovani della capitale di aiutare le forze dell’ordine a liberare la città dai “gruppi oscurantisti”. Parallelamente, ha chiesto anche di processare Nuri Abu Sahimin, il presidente del Congresso e il suo primo ministro Omar al Hasi, con l’accusa di aver attuato un vero e proprio colpo di stato.
Ma la Corte Suprema libica (la Corte Costituzionale) è di tutt’altro avviso: il 6 novembre dichiara incostituzionali le elezioni del mese di giugno e scioglie la Camera dei Rappresentati, ovvero il Parlamento di Tobruk.
Accogliendo un ricorso presentato da un gruppo di parlamentari islamisti, che hanno boicottato sin dal suo insediamento le sedute della Camera dei Rappresentati, la Corte ha stabilito che il parlamento ha violato la Costituzione perché non si è stabilito in nessuna delle due principali città del paese, nonostante le precise disposizioni della Carta, e ha richiesto l’intervento militare di forze straniere dopo che le milizie islamiste avevano preso il controllo della capitale.
In effetti, questo parlamento era già confinato nella città di Tobruk, al confine con l’Egitto, costretto a tenere le riunioni in un edificio del porto e a riunire l’esecutivo per motivi di sicurezza a bordo del traghetto greco Elyros, particolarmente attrezzato a livello tecnologico. Sulla terraferma, il Parlamento di Tripoli è invece appoggiato da vari gruppi jihadisti, fra i quali Ansar al-Sharia, le Brigate 17 Febbraio e le milizie di Misurata, mentre sono rimaste a difesa dell’altro parlamento soltanto le milizie di Zintan (Tripoli) e quelle del generale Khalifa Haftar (Bengasi).
Secondo al Hassi, il Parlamento di Tobruk aveva già da tempo perso la sua legittimità e adesso è arrivato il momento di indire nuove elezioni (sotto l’esclusiva supervisione delle istituzioni libiche).
A suo favore gioca l’appoggio e la “vittoria” conseguita dalla coalizione islamista Alba Libica, ovvero il ripristino dell’ordine nella capitale, assicurando la continuità della corrente elettrica, la disponibilità di carburante e l’arresto di alcuni pericolosi criminali: “Se siamo stati in grado di fare questo in una città di oltre due milioni di abitanti, possiamo farlo anche in tutto il paese”.
Ma adesso il vero problema è lo schieramento internazionale, o meglio l’atteggiamento che prenderanno i paesi coinvolti nella vicenda libica. I governi dell’Africa del nord, così come quelli europei della sponda mediterranea e le maggiori potenze occidentali, avevano già riconosciuto come legittimo solo il parlamento di Tobruk, con il quale intendevano intavolare le discussioni per la mediazione tra le parti (Conferenza di Madrid del 17 settembre).
Al Hasi non ha rapporti con la comunità internazionale, ma in particolare con l’Egitto, che è accusato dal suo schieramento di aver condotto insieme agli Emirati Arabi raid aerei per colpire le postazioni di Alba Libica.
La Francia, il Regno Unito e gli Stati Uniti avevano recentemente chiesto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di inserire il gruppo Ansar al Sharia nella lista delle organizzazioni terroristiche internazionali, ritenendo che il congelamento dei beni e l’embargo sulle armi possano arginare il patto sugellato a Derna tra la milizia islamista e il califfato di al Baghdadi, già presente in quella regione con campi di addestramento per formare i futuri combattenti in Siria e in Iraq (il Consiglio di Sicurezza dovrà pronunciarsi il 19 novembre).
Nel frattempo, il Parlamento di Tobruk ha respinto la sentenza della Corte Suprema sostenendo che i giudici si sioo pronunciati sotto la minaccia di morte, proprio nella loro sede di Tripoli controllata da milizie armate ribelli ostili al governo legittimo espresso dalla Camera dei Rappresentanti.
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