L’avvocato di Berardi in galera in Guinea E.: “La Farnesina? Non mi ha mai contattato”

Andrea Spinelli Barile
Firenze, 30 ottobre 2014

In un tardo pomeriggio di autunno c’è un continuo via vai di turisti e uomini d’affari nella hall di un hotel di lusso a Firenze: mi siedo sui divani, in attesa che il consierge chiami la persona che sono venuto ad intervistare. Si chiama Ponciano Mbomio Nvò, arriva dalla Guinea Equatoriale e di mestiere fa l’avvocato penalista, con riguardo particolare per la tutela dei diritti umani nel suo paese, “la peggior dittatura del mondo”, ripete spesso nel corso della nostra chiacchierata.

Mbomio Nvò è l’avvocato di Roberto Berardi, l’imprenditore pontino detenuto da 22 lunghissimi mesi in una putrida cella del carcere di Bata, umiliato e vessato dai suoi carcerieri al soldo del “principe di Malabo”, il vicepresidente della Guinea Equatoriale Teodorin Obiang Nguema Mangue; da oltre un ventennio l’avvocato Mbomio Nvò combatte la sua personale battaglia per lo stato di diritto e la tutela dei diritti fondamentali dell’essere umano nel suo paese, una battaglia trascorsa sul campo dei tribunali “inquisitori” del suo paese. La sua storia comincia in carcere prima del colpo di Stato che nel 1979 ha portato al potere Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, oggi settantaduenne.

“Migliaia di persone sono state uccise, direttamente o indirettamente, per suo ordine: l’intero Paese è amministrato dal circolo della numerosa famiglia Obiang, tutti i centri di potere appartengono agli Obiang e le risorse naturali della Guinea vengono considerate come bene personale dalla famiglia presidenziale. La corruzione è endemica, la notte i militari pattugliano le strade e commettono i peggiori crimini, impunemente, nelle carceri i diritti umani vengono violati sistematicamente con l’uso della tortura, di violenze, della pena di morte.”

Com’è esercitare la professione di avvocato per i diritti umani in un Paese dove questi vengono sistematicamente violati dal regime, al potere da 35 anni? Non teme per la sua incolumità?

“Io sono una persona fortunata e ho un nome in campo internazionale: l’Uia (Union Internationale des Avocats) mi ha dato una mano quando sono stato sospeso dalla professione per la seconda volta dopo che feci assolvere il medico Wenceslao Mansogo Alo, difensore dei diritti umani. Il regime non può farmi nulla perchè la mia è una battaglia di diritto e non politica, combatto in tribunale e sul terreno giuridico.”

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In passato Mbomio ha tutelato molti stranieri incappati nelle tragiche maglie della giustizia equatoguineana: tra loro ci sono Simon Mann, un mercenario britannico protagonista di un tentativo di colpi di stato http://www.africa-express.info/2014/10/16/il-calvario-di-roberto-berardi-una-galera-della-guinea-equatoriale-il-fallimento-della-diplomazia/ nel 2004, organizzato da Sir Mark Thatcher, figlio di Margareth, e Igor Celotti, un imprenditore italiano di Buja, in provincia di Udine, morto in un misterioso incidente aereo (lui carbonizzato e il pilota pressocchè illeso).

“Sono il legale cui le ambasciate spagnola e inglese si affidano quando ci sono problemi con i loro cittadini in Guinea Equatoriale: mi contattano e mi chiedono di attivarmi. Le storie sono quasi sempre le stesse: imprenditori che vengono truffati dal socio equatoguineano, che appartiene sempre alla cerchia della famiglia Obiang. Nel caso di Roberto Berardi la particolarità sta nel fatto che lui è stato incarcerato e processato perchè il regime vuole tappargli la bocca, ma io lo dico chiaro: Roberto Berardi è innocente!”

Come sono andati i fatti tra Berardi e il socio Teodorin Nguema?

“Quando Teodorin contattò Berardi per proporgli di avviare una società in Guinea (60 per cento al vicepresidente e 40 per cento all’italiano, nda) fu l’imprenditore italiano a versare l’intero capitale della Eloba Construccion SA, così come fu sempre l’imprenditore a fornire macchinari, competenze e tutte le proprietà della Eloba, subappaltatrice di un’altra società di proprietà della moglie del presidente Teodoro Obiang, madre del vicepresidente Teodorin. Per questo Berardi era l’unico ad avere la firma sui conti correnti, l’unico che poteva fare bonifici, gestire fondi: di fatto era l’amministratore unico e il direttore generale della società di costruzioni; ma in Guinea funziona tutto diversamente. Teodorin si recò personalmente in banca e impose agli impiegati di distrarre i fondi dal conto della Eloba verso un altro conto corrente, negli Stati Uniti: ci sono i testimoni. Quando Berardi scoprì gli ammanchi andò dal socio con l’estratto conto in mano per chiedergli spiegazioni ma si è visto ribaltare le accuse addosso ed è quasi venuto alle mani con Teodorin, che per vendetta lo ha messo ai domiciliari per un mese ed incarcerato definitivamente a fine gennaio 2013.”

Il recente patteggiamento americano tra Teodorin e la procura distrettuale californiana (30 milioni di dollari che il vicepresidente ha implicitamente ammesso di avere riciclato, anche se la giustizia americana gli contestava 300 milioni) riguarda in effetti anche dei soldi che provenivano dai conti della Eloba Construccion. Dunque Berardi è innocente?

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“Completamente innocente. Berardi è vittima della vendetta di Teodorin, che lo ha incarcerato per tappargli la bocca e per curarsi l’orgoglio ferito. Il processo è stato iniquo, si è celebrato un procedimento penale per una diatriba tra soci che dovrebbe riguardare tuttalpiù il diritto civile o mercantile. E poi c’è il problema delle violazioni dei diritti umani: nelle carceri in Guinea le guardie dipendono dal ministero della difesa, sono militari, e non da quello della giustizia. Berardi ha un carattere forte, non si piega alle vessazioni dei suoi carcerieri che per questo spesso si accaniscono su di lui.”

Con chi è in contatto del ministero degli Esteri italiano? Come state gestendo il caso di Roberto Berardi?

“Io non sono mai stato contattato da nessuno del ministero degli Esteri italiano nè dall’ambasciata italiana in Cameroun. Nessuno dalla Farnesina mi ha mai cercato, francamente non capisco bene come l’Italia stia gestendo questo caso: non ha nemmeno una rappresentanza diplomatica in Guinea, a parte il console Spano, ma anche dall’ambasciata in Cameroun nessuno si è fatto vivo. Il caso del signor Berardi l’ho preso in carico perchè lavoro da sempre con gli stranieri e perchè da sempre lavoro sulle violazioni costituzionali e legali dei processi in Guinea: per questo ho presentato di recente un ricorso alla Corte Suprema della Guinea Equatoriale per chiedere la riapertura e la revisione del processo che ha condannato il signor Berardi e per questo, quando si pronuncerà la Corte Suprema, mi rivolgerò alla giustizia internazionale. L’ho fatto anche in passato con altri casi ed ha funzionato, sono fiducioso che la vicenda di Roberto Berardi (che finirà di scontare la sua pena nell’aprile 2015) si concluderà positivamente.”

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Anche  in Italia un legale, Romano Perrino del Meetup di Latina, ha presentato alcuni ricorsi internazionali che sembra siano già piovuti sulla scrivania del vicepresidente Teodorin Nguema, che di problemi giudiziali in campo internazionale è un collezionista (Stati Uniti, Francia, Spagna, Inghilterra). Come è collezionista di beni di lusso, vizi, stravizi e amenità, oltre che di belle donne (l’ultima è Christina Mikkelsen, vincitrice di Bride of the World nel 2012). Non è la prima volta che un imprenditore straniero finisce truffato da un membro della numerosa famiglia presidenziale, che è solita subappaltare alle società straniere i grossi appalti (gonfiatissimi) delle società statali. Tutti casi molto simili a quello di Berardi, se non fosse che l’imprenditore pontino si ritrova in carcere senza un’apparente soluzione: in genere il governo di Malabo infatti espelle semplicemente gli sventurati imprenditori, che dopo essere stati frodati, derubati ed umiliati, si ritrovano a dover ricominciare daccapo un’intera vita professionale.

“Ad oggi nessuno sa dove siano finiti i beni della Eloba Construccion: la società esiste ancora ma è una scatola vuota, non ci sono soldi, non ci sono più i macchinari, è stata completamente distrutta. Mi chiedo come sia stato possibile, visto che il suo amministratore unico e direttore generale, unica firma sui conti correnti e unico investitore, nel frattempo era in carcere.”

Quello tra Italia e Guinea Equatoriale è un rapporto avvolto dalle nebbie: secondo il Ministero dello Sviluppo economico l’Italia è il terzo importatore di petrolio e gas naturale dalla Guinea, ma è impossibile risalire a quali siano le società petrolifere in affari con lo stato africano: l’Eni ci ha ribadito più volte di “non avere alcuna attività e nessun rapporto in Guinea Equatoriale”anche se ci risulta che l’AD Claudio Descalzi, quando era vice Direttore Generale nella Divisione Exploration & Production, è stato più volte ricevuto dal Presidente Teodoro Obiang. La spinta africana avviata dal governo Renzi,  se la vediamo con gli occhi della storia (oltre al caso di Roberto Berardi, oggi in carcere, c’è il caso della misteriosa morte di Igor Celotti e dell’altrettanto misteriosa dipartita di Alessandro Corbara, architetto che è stato collaboratore della Eloba Construccion, amico di Berardi, deceduto in circostanze piuttosto misteriose in un incidente d’auto nel nord della Guinea Equatoriale nel luglio scorso) è un pericoloso invito del governo ad investire in Africa.

Pericoloso perchè, visti i precedenti, sembra essere cronica la totale incapacità diplomatica di gestire le crisi internazionali nel continente africano, dove il rischio di finire in situazioni pericolose è molto alto: per questo l’invito del governo ad investire in Africa può rivelarsi un biglietto di sola andata per l’inferno, nonostante l’Africa rappresenti uno sconfinato bacino di opportunità per fare impresa, che nei prossimi anni esploderà al pari di come esplose l’Asia negli anni ’90. Le garanzie e le coperture legali che il governo italiano mette a disposizione dei propri imprenditori sono inesistenti, ce lo dimostra con evidenza proprio il caso Berardi.

Se le contraddizioni degli Stati Uniti sono sempre le stesse, con le multinazionali in affari miliardari con il regime di Malabo mentre Obama chiede con forza a Obiang   di dare garanzie sui diritti umani, di porre un limite costituzionale di due mandati per la Presidenza e di aprire alle opposizioni (i primi di novembre, dopo l’amnistia riguardante i reati politici, comincerà un dialogo nazionale in Guinea tra tutte le forze politiche, anche quelle dell’opposizione clandestina), l’atteggiamento italiano sembra essere remissivo e pericoloso: unico ad interessarsi del caso è stato il senatore Luigi Manconi del PD, che ha presentato due esposti alla procura di Roma, caduti nel nulla come nel nulla sono caduti gli appelli dei familiari alla politica e persino al Vaticano.

Ma qui di responsabilità ne ha parecchie anche la stampa italiana che, forse troppo impegnata a guardarsi l’ombelico (suo e del Paese), dimentica completamente la politica estera, che va oltre il controverso caso dei Marò (utilizzato ad arte per fare campagna elettorale): troppe volte la frase “se l’è andata a cercare” è stata utilizzata per giustificare la cecità e la sordità sul caso Berardi.

Andrea Spinelli Barrile
Skype: djthorandre
Twitter: @spinellibarrile
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maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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