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Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 23 ottobre 2014
Poche ore fa l’OMS ha comunicato che le persone infette sono quasi diecimila, 9936 per l’esattezza, mentre quelle decedute a causa dell’ebola sono 4877 e come sappiamo, la maggior parte di esse in Sierra Leone, Liberia e Guinea. Queste sono le cifre ufficiali, ammalati e deceduti registrati. Sicuramente ebola ha raggiunto molte altre persone. I dati effettivi non si sapranno mai.
Alcuni ragazzotti, membri della gang di Alamu Eze, figlio della vecchietta deceduta, hanno vietato al team sanitario di entrare nella casa.
I medici dell’ospedale locale hanno riferito ai reporter della France Presse: “Quando i nostri colleghi e gli infermieri hanno chiesto protezione agli agenti della pubblica sicurezza, è successo il finimondo. Due persone sono state uccise a colpi di machete, altre dieci sono state ferite, tra cui anche alcuni poliziotti”.
Il capo della polizia locale, David Koroma, ha precisato: “Durante l’insurrezione popolare è stata danneggiata la sede della radio locale e alcuni altri immobili. Abbiamo dovuto imporre un lungo coprifuoco, quando un gruppo di giovani scalmanati hanno percorso le vie cittadine urlando: “Mai più ebola”. Ora è ritornata la calma, ma la tensione è sempre alta”.
L’ebola porta scompiglio nella popolazione, non è solo un virus che uccide, è una piaga sociale. L’organizzazione mondiale della sanità (OMS) ritiene che 650 persone siano guarite dal temibile virus in Sierra Leone, ma i sopravissuti non hanno vita facile. Un’indagine condotta dall’UNICEF in 1400 famiglie ha rivelato che chi si è salvato, viene discriminato, emarginato dalla comunità e difficilmente riesce a ricostruire la propria vita. Eppure potrebbero essere un supporto importante per gli ammalati, i loro parenti.
In una conferenza, tenutasi recentemente a Kenema, uno degli epicentri dell’ebola in Sierra Leone, Yasmina Guerda di OCHA (acronimo inglese: Ufficio dell’ONU per il Coordinamento degli Affari Umanitari) ha parlato a lungo con operatori sanitari e alcuni sopravissuti. I loro racconti sono commoventi, storie di donne eccezionali, dotate di una forza d’animo rara.
Anna Sowa ha solo 19 anni ed un figlio in tenera età. Ha contratto il virus assistendo la sorella Mahawa, un’infermiera. Anna è guarita. “Non potevo morire. Chi si sarebbe preso cura del mio bambino?”, ha riferito durante la conferenza.
Mentre solo ieri l’OMS esprimeva un cauto ottimismo circa la diffusione del virus nei Paesi limitrofi, giunge la conferma che una bambina di due anni sia affetta di ebola in Mali. Pare che la piccola abbia trascorso un periodo nella vicina Guinea.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
twitter: @cotoelgyes
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