Il calvario di Roberto Berardi in una galera della Guinea Equatoriale: il fallimento della diplomazia

Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 15 ottobre 2014

Forse è il caso che la diplomazia italiana per salvare la vita di Roberto Berardi, detenuto in una fetida galera della Guinea Equatoriale, faccia scendere in campo Claudio Descalzi, amministratore delegato dell’ENI. Descalzi conosce bene Teodoro Obiang Nguema Basogo, il dittatore, e Teodorino Obiang Nguema Mangue, il capriccioso figlio prediletto del tiranno. E poiché la Guinea Equatoriale è il Paese più corrotto dell’Africa, corrotto fino al midollo, (conosco già la facile domanda che, giustamente, mi sarà rivolta: “Come fai a fare una classifica?) è francamente difficile non pensare che Descalzi abbia trattato gli affari della compagnia petrolifera italiana, senza scendere a patti con la famiglia che ha in mano tutto il potere nella piccola ex colonia spagnola. Come spiega un rapporto dell’organizzazione Transparency International, laggiù se non paghi tangenti al presidente e alla sua famiglia, non fai affari. E siccome le società petrolifere fanno affari, la logica conseguenza che si può trarre è una sola.

SACCHEGGIO SENZA VERGOGNA

Che la Guinea Equtoriale sia governata da depravati con le mani grondanti di sangue c’è scritto in una dichiarazione di Leslie Caldwell, assistente del procuratore generale degli Stati Uniti, secondo cui la ricchezza accumulata da Teodorin è frutto di appropriazioni indebite ottenute con estorsioni. Il magistrato parla di saccheggio “senza vergogna” delle risorse del Paese per sostenere il suo stile di vita sontuoso. “Dopo aver rastrellato milioni di dollari con tangenti e bustarelle, Obiang figlio si è imbarcato in spese folli possibili solo grazie alla corruzione”, ha sentenziato la signora Caldwell. Bene: è noto a tutti che dove c’è un corrotto c’è anche un corruttore.

Nel processo intentato negli Stati Uniti, dove è vietato investire proventi di attività illecite, anche se commesse all’estero, il figlio del disumano dittatore equatorialguineano, è stato giudicato colpevole e per non perdere tutto con una sentenza che probabilmente sarebbe stata dura ed esemplare, ha deciso di patteggiare: venderà beni per un valore di 30 milioni di dollari, tra cui una villa a Malibù, una Ferrari e una parte della sua collezione di memorabilia di Michael Jackson, e devolverà il ricavato in beneficenza.

PENA IRRISORIA PER IL FIGLIO DEL CAPO

E’ la prima volta che i giudici americani prendono di mira la famiglia di un capo di Stato. In più un capo di Stato assai potente giacché è al potere da 35 anni, certo in un Paese piccolissimo ma assai interessante: galleggia sul petrolio.

Quello che delude in questa vicenda è la pena irrisoria patteggiata da un signore figlio di un tiranno cleptocrate: 30 milioni di dollari Teodorin se li riprende in pochi giorni e – c’è da scommetterci – ricomprerà villa, Ferrari e memirabilia, magari chiedendo a qualcuno della sua corte di fargli da prestanome.  Gente come questa, abituata a mandare a morte un suddito per un semplice capriccio, si fa beffe della giustizia.

E’ bene ricordare che grazie al petrolio e al gas naturale, la Guinea Equatoriale vanta il più alto livello di reddito pro capite in Africa sub-sahariana, 22 mila 300 dollari all’anno, circa quattro volte più del Sud Africa. Peccato che questi soldi finiscano nelle tasche di un gruppetto di persone legate alla famiglia Obiang. Tutti gli altri – secondo dati forniti dal Fondo Monetario Internazionale – muoiono di fame, con un reddito sotto la soglia di povertà.

I MEMORABILIA DI MICHAEL JACKSON

I due satrapi, padre e figlio, si stanno prendendo gioco anche degli italiani e dell’Italia e – come abbiamo più volte scritto – tengono in una fetida galera l’imprenditore italiano Roberto Berardi. La colpa di Berardi? Aver chiesto al suo socio, Teodorin, spiegazioni sulla sparizione di oltre un milione di euro, dalle casse società di costruzioni che i due avevano in comune. Tra l’altro quei soldi sono serviti al figlio gaudente per comprare proprio quei memorabilia di Michael Jackson che erano stati messi all’asta. Indignato per la richiesta il figliol prodigo, che è anche vicepresidente della Guinea Equatoriale, ha sbattuto Berardi in galera: lesa maestà.

I giudici americani non hanno il potere di intervenire su una vicenda che riguarda un cittadino italiano. Ma i giudici italiani sì. E se Roberto Berardi, non sia mai, dovesse morire per gli stenti le sevizie e le torture cui è sottoposto in galera, dovrebbero aprire un’inchiesta per omicidio. Omicidio premeditato. Ora, invece, la magistratura potrebbe aprirla per sequestro di persona. Sarebbe un atto dovuto con una bella incriminazione per dittatore e figlio che non gioverebbe certamente alla loro reputazione.

IL CASO DEL MERCENARIO SIMON MANN

A parte i giudici sarebbe bello anche sapere se la Farnesina ha già chiesto con insistenza a Teodoro padre spiegazioni sul perché un cittadino italiano è ingiustamente detenuto in Guinea Equatoriale. Probabilmente il potere negoziale della nostra diplomazia in quel Paese è pari a zero, visto che Berardi è in galera dal gennaio 2013.  Se l’imprenditore fosse americano, francese o britannico, sarebbe ancora in prigione? Francamente non credo.

Per accuse molto, molto più gravi (crimini contro il capo dello Stato, crimini contro il governo e crimini contro la stabilità e l’indipendenza del Paese) il comandante di un gruppo di mercenari, Simon Mann, britannico, condannato a oltre 34 anni di galera è stato graziato per motivi umanitari cinque anni fa.

SOCIO DEL FIGLIO DELLA THATCHER

Già, ma Simon Mann aveva le spalle ben coperte: era socio di Mark Thatcher, figlio della Lady di ferro, e uno degli organizzatori dell’impresa, ed era ben difeso dai petrolieri americani e dall’establishment dell’allora vicepresidente americano Dick Cheney (ex vicepresidente della Halliburton, società legata agli ambienti militari statunitensi, con grandi interessi in Guinea Equatoriale), che gli avevano messo a disposizione fior di avvocati. Fu in quegli anni che uno di essi, una mia conoscenza personale, mi telefonò chiedendo se potevo dare risalto alla storia di Simon Mann che rischiava di restare rinchiuso a vita nella famigerata Black Prison di Malabo.

Simon Mann è stato condannato a 34 anni di prigione il 7 luglio 2008.  Il 2 novembre 2009 era già fuori di galera con un perdono completo e incondizionato “per motivi umanitari” da parte del presidente Teodoro Obiang Nguema Basogo. Come è andata quella vicenda? Come mai è finita così presto? In fondo si trattava di un colpo di stato manu militari, organizzato per far fuori il presidente della Guinea Equatoriale.

Si sta parlando – è bene chiarirlo di nuovo – di un signore che di mestiere faceva il mercenario e non di qualcuno famoso per la sua irreprensibilità etica e morale.

DESCALZI E L’AVVOCATO DI DICK CHENEY 

Berardi invece dietro di sé non ha nessuno, tranne una famiglia che con caparbietà cerca di sensibilizzare l’opinione pubblica sul caso, un parlamentare che chiede insistentemente un serio intervento della Farnesina, Luigi Manconi, e qualche giornalista. Naturalmente Africa ExPress è lieta di fornire a chi di dovere il contatto con l’avvocato che ha tirato fuori di galera dopo soli 16 mesi l’organizzatore di un complotto per tentare di uccidere il presidente della Guinea Equatoriale. Credo però che essendo la persona in questione anche uno dei legali di Dick Cheney e dell’Halliburton,  il prezzo dei suoi servigi sarà un po’ alto. L’Eni di certo potrebbe permettersi di pagare anche una parcella salata. Insomma, l’accoppiata Descalzi/avvocato potrebbe risolvere il caso Berardi prima che il prigioniero muoia di stenti.

Infatti il problema di Berardi è quello di non aver dietro una società petrolifera che possa trattare col tiranno. Beh, forse ora è il caso di fornirgliela. Chi ha viaggiato per l’Africa sa perfettamente che dove non può arrivare la diplomazia, arriva il dio petrolio. Vengono in mente le confessioni di un ambasciatore italiano in Nigeria che si sfogò con me così: “Qui io non conto niente, chi fa tutto è il capo dell’Agip”.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi

Nelle foto: un’immagine di prigionieri in Guinea Equatoriale, la famigerata galera Black Beach a Malabo e una cella della nella stessa prigione, Roberto Berardi prime e dopo le torture subite, Simon Mann, Teodorin Obiang, Mark Thatcher e Claudio Descalzi.

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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