Un anno fa la tragedia di Lampedusa: le promesse non mantenute

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Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 3 ottobre 2014

3 ottobre 2013: 368 morti. L’Italia, il mondo intero ne era sconvolto. Indignato. Tutti erano concordi: non deve succedere mai più una tragedia del genere. Eppure, continua a succedere. Pochi ne parlano. I più non si accorgono. Abbiamo già versato una lacrimuccia il 3 ottobre. Mi sento tranquillo con la mia coscienza.

Eppure è successo ancora e ancora. Nel 2014 sono morte altre 3072 persone in mare, senza contare quelle del naufragio di ieri, vicino alle coste libiche. E succederà ancora.  Non basta fermare gli sbarchi in Libia. Gli sbarchi non finiranno, finché ci saranno persecuzioni e guerre inutili (anzi, utili solo a qualcuno) nella patria di chi cerca solo un po’ di pace, un briciolo di libertà.

Le associazioni per i diritti umani chiedono da tempo corridoi umani sicuri per i rifugiati, migranti. Ma nessuno ascolta.  Nessun governo è pronto ad affrontare questo problema, nessun governo è disposto ad interventi mirati nei Paesi d’origine dei profughi. Ognuno ha diritto di vivere in pace nel proprio Paese. Chi deve lasciare la sua casa, è un orfano d’amore.

“Finalmente siamo sul barcone. Inizia una nuova vita!”. Certamente è queston il pensiero dei più al momento della partenza da un qualsiasi porto della Libia ormai in fiamme, o da un altro porto, forse in Egitto, partenza di molti siriani e palestinesi.

 Ognuno di loro si lascia alle spalle sofferenze indescrivibili: guerra, persecuzioni, fame nera. Chi lascia la sua terra, le proprie radici, gli affetti più cari, la propria lingua, non lo fa tanto per il gusto dell’avventura. Tutti sono ben consapevoli a ciò cui vanno incontro: mettono in conto anche di poter morire durante la fuga.

Africa ExPress ha parlato in molti articoli dei profughi, delle loro tortuose vie di fuga. Le morti nel deserto del Sahara di persone abbandonate senza pietà da trafficanti di uomini. Gli arresti per immigrazione clandestina in Egitto e nel Sudan che spesso si concludono con il rimpatrio forzato. E per non dimenticare, i terribili beduini del Sinai, che per anni hanno catturato vittime innocenti con la complicità di forze dell’ordine corrotte, riducendole in totale stato di schiavitù: la tortura era il loro pane quotidiano, richieste di riscatto ingenti ai familiari e, se i soldi non c’erano, spesso la morte e/o l’espianto degli organi, rivenduti poi al mercato nero.

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Una volta giunti in Libia, spesso un altro arresto. Ma chi lotta per la propria vita, per il proprio futuro tiene ben stretto quel sacchetto di plastica, spesso l’unico bagaglio portato con sé al momento di partenza. In quel misero bagaglio c’è la vita: i ricordi e i sogni, l’unica compagnia in questo mondo così ostile, crudele.

In questo ultimo anno vi abbiamo raccontato la storia di Robiel (http://www.africa-express.info/2013/11/09/storia-di-robiel-morto-annegato-scappato-dalleritrea) , annegato a Calais, di Maru, che cerca in ogni dove la figlioletta scomparsa in mare (lui è sicuro che è viva).  http://www.africa-express.info/2014/01/03/cerco-la-mia-figlioletta-scomparsa-mare-al-largo-di-malta-mentre-scappava-dal-sudan-con-sua-madre-affogata/ e http://www.africa-express.info/2014/07/20/sul-barcone-della-morte-dalla-libia-lampedusa-maru-un-papa-che-non-si-arrende/.

All’inizio di quest’articolo c’è scritto che nel 2014 sono annegati oltre 3000 migranti. I più senza nome. E chi muore senza nome, muore due volte.

Cornelia I.Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
twitter: @cotoelgyes

Il video della canzone che presentiamo, “Are You Listening”,  racconta le pene e le sofferenze degli eritrei in fuga dalla disumana dittatura che governa il loro Paese. Parla di coloro che sono annegati, di coloro che sono morti, vittime della violenza dei trafficanti di esseri umani, o che sono stati uccisi per espiantare gli organi e delle loro speranze di raggiungere una vita migliore in Occidente.

 

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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