Nostro Servizio Particolare
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 11 settembre 2014
Ora anche il Fondo Monetario Internazionale (FMI) si occupa di ebola. Nei tre Paesi più colpiti dal micidiale virus, Liberia, Guinea, Sierra Leone, adesso bisogna fare anche i conti con le ingenti perdite economiche che hanno messo in ginocchio il loro già povero bilancio finanziario. Si calcola che le perdite finora subite si aggirino tra cento e centocinquanta milioni di dollari per ognuno dei tre Paesi, secondo il portavoce del FMI William Murray, che martedì scorso ha lanciato un appello alla comunità internazionale. La morte, la malattia di tante persone, talvolta colpisce famiglie intere, ha portato scompiglio nell’agricoltura, nel commercio, in ogni settore produttivo.
Murray ha sottolineato che il FMI sta cercando di allargare le trattative, per poter assicurare ai tre Paesi maggiormente colpiti risorse sufficienti per poter affrontare l’epidemia e allo stesso tempo riuscire a mantenere un’economia fluida. “Sono problemi che vanno risolti al più presto possibile. Un intervento a larga scala ben coordinato dalla comunità internazionale è indispensabile per arginare l’espandersi del virus killer”, ha aggiunto il portavoce dell’FMI.
E mentre si discute di ebola ovunque, in ogni parte del mondo, in ogni dove, questo micidiale killer, silenziosamente, inaspettatamente, continua il suo viaggio, uccide chiunque incontra nel suo folle vagare. Secondo l’Organizzazione internazionale della salute (OMS), il 9 settembre 2014 i morti registrati sono 2296, mentre gli ammalati 4293, così suddivisi: Liberia: 2046 casi, 1224 morti. Guinea: 862 casi, 555 decessi. Sierra Leone: 1361 ammalati, 509 morti, Nigeria: 21 casi, 8 deceduti, Senegal: 3 casi, di cui uno confermati, gli altri due sono sospetti. Anche nel Congo–K le vittime aumentano di giorno in giorno. Tra il 2 ed il 9 settembre si sono registrati 31 nuovi casi. In tutto sono ora 62, i morti 35.
Cifre, numeri, che probabilmente non corrispondono alla realtà. Certamente sono molti di più. Non vengono registrati, perché muoiono a casa loro, perché molte famiglie non fanno ricoverare il proprio congiunto, per non lasciarlo solo in un reparto di isolamento. Ma molto spesso, specie in Liberia, gli ammalati di ebola non trovano un posto letto nelle strutture ospedaliere con reparti di isolamento speciali.
Manca il personale medico e paramendico. 152 operatori sanitari sono affetti di ebola, 72 sono deceduti. Succede che un ammalato si rechi in taxi in un nosocomio, accompagnato di propri cari. Viene respinto. Nel taxi, durante il viaggio, contagia i congiunti e lo stesso tassista. Una catena senza fine. Nella propria abitazione l’ammalato non può restare isolato. Spesso una stanza, una camera, viene condivisa con tanti altri parenti, così come il cibo, il piatto. La povera gente divide tutto. Anche la malattia, la morte.
Sono stati stanziati somme consistenti per corsi di aggiornamento a leader religiosi, capi locali, insegnanti, persone che godono della fiducia della popolazione, per educarli alla prevenzione dell’ebola. Non è facile in una società dove la povertà è regina, dove i più chiudono gli occhi e sostengono che l’epidemia sia una pura invenzione. Spesso il terrore, la paura portano anche a questo.
Questa sera Sepp Blatter, presidente della FIFA ha annunciato alla stampa che la federazione internazionale di calcio metterà a disposizione lo stadio Antoinette Tubman di Monrovia. Blatter ha dichiarato: “Stiamo collaborando con l’OMS per trasformare lo stadio in un centro di isolamento per gli ammalati”.
Il mondo inizia a muoversi, ma l’ebola, per ora, non si ferma.
Cornelia I. Toelgyes
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