Dimitri Amilakhvari
Cornelia I. Toelgyes
8 settembre 2014
Il fondamentalismo religioso, quasi sempre il prodotto di una gestione settaria e dei paradossi dei governi in carica, in Libia così come in altre aeree del pianeta, sembra appartenere più al mancato equilibrio tra le diverse tribù piuttosto che al disarticolato corso democratico del Paese.
Per certi aspetti, questa sembra essere la ricerca di una identità più rappresentativa sul territorio, dove l’umiliato inneggia a regole religiose interpretate a suo esclusivo favore, ampiamente alimentate dal malcontento generale. In termini politici, si traduce nella composizione di agglomerati che, anche se all’apparenza si presentano come omogenei e con la stessa finalità di contrapporsi all’autorità costituita, rappresentano pur sempre etnie di origine e culture diverse.
La stessa genesi della formazione di unità paramilitari che si oppongono al governo alimenta un nuovo tipo di economia sociale, fondata sulla violenza e su azioni criminali, organizzata in una rete di interrelazioni clandestine che si sovrappongono e si amalgamano tra loro. In particolare, il denaro viene reperito attraverso rapine, traffico di stupefacenti, gestione della immigrazione clandestina e rapimenti di occidentali.
Purtroppo, come ha spiegato Rukmini Callimaki, l’autrice dell’inchiesta ad Africa ExPress, Rossella Urru, ha risposto negativamente alla richiesta di un‘intervista per sapere esattamente cos’è successo durante il suo rapimento cominciato il 22 ottobre 2011 in Algeria e terminato il 17 luglio 2012 in Mali. Il riscatto – come ha raccontato Africa ExPress – per la sua liberazione e per quella dei suoi due compagni di prigionia spagnoli – fu pagato e portato a Gao, in Mali, nelle mani dell’Emiro di Al Qaeda nel Maghreb Islamico, Abdul Hakim, da emissari del Burkina Faso.
Un altro riscatto, questa volta di tre milioni di euro, fu pagato per la liberazione di Maria Sandra Mariani, sequestrata il 2 febbraio 2011 e rilasciata oltre un anno dopo il 17 luglio 2012. Il beneficiato era stato l’algerino Abu Zeid il cui vero nome è Abid Hamadou, uno dei capi di Al Quaeda nel Maghreb Islamico,
Secondo The New York Times, la Francia avrebbe pagato dal 2008 un minimo di 43,3 milioni di euro, la Svizzera 9,25 milioni, la Spagna 8,2 milioni e l’Austria 2,3 milioni. Inoltre, l’Oman e il Qatar avrebbero pagato circa 15,2 milioni di euro per la messa in libertà di alcuni cittadini europei.
Solo nel 2013, i gruppi legati ad al Qaeda avrebbero ricevuto 49,2 milioni di euro. L’organizzazione che ha tratto maggior profitto dai sequestri è Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI), che dal 2008 ha incassato almeno 68,2 milioni di euro. La maggior parte di questo denaro è stato pagato da imprese pubbliche francesi.
Dei 53 ostaggi rapiti negli ultimi cinque anni dai vari rami di al Qaeda, un terzo era di origine francese e più del 20 per cento proveniva da paesi come Austria, Svizzera e Spagna. Solo tre statunitensi sono stati sequestrati da Al Qaeda in questo periodo. Stati Uniti e Regno Unito sono due dei paesi che la testata newyorchese descrive come “totalmente” contrari a pagare riscatti ai terroristi.
Ma anche un’economia che alimenta il traffico di armi, i cui ricavati sovvenzionano gruppi estremistici in altre aeree destabilizzate dell’Africa e del Medio Oriente.
Dimitri Amilakhvari
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
twitter: @cotoelgyes
(4- continua)
Qui trovi la prima puntata del Dossier Libia: Un caos che viene da lontano
Qui trovi la seconda puntata del Dossier Libia: La lotta per le connessioni petrolifere
Qui trovi la terza puntata del Dossier Libia: Le milizie prendono il sopravvento: stranieri in fuga
La prossima, quinta e ultima puntata del Dossier Libia sarà: Un arcipelago di milizie impossibili da controllare
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