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Dossier Libia-4/Il denaro per pagare i riscatti (93 milioni di dollari) foraggia i terroristi

Dimitri Amilakhvari
Cornelia I. Toelgyes
8 settembre 2014

Il fondamentalismo religioso, quasi sempre il prodotto di una gestione settaria e dei paradossi dei governi in carica, in Libia così come in altre aeree del pianeta, sembra appartenere più al mancato equilibrio tra le diverse tribù piuttosto che al disarticolato corso democratico del Paese.

Nel tessuto sociale, non tutta la popolazione è stata rappresentata nella gerarchia di potenza e nelle dinamiche economiche e questo sembra essere il terreno di coltura di attori non statuali, ma anche transnazionali, dove il malcontento e la discriminazione si autoalimentano producendo formazioni estremistiche.

Per certi aspetti, questa sembra essere la ricerca di una identità più rappresentativa sul territorio, dove l’umiliato inneggia a regole religiose interpretate a suo esclusivo favore, ampiamente alimentate dal malcontento generale. In termini politici, si traduce nella composizione di agglomerati che, anche se all’apparenza si presentano come omogenei e con la stessa finalità di contrapporsi all’autorità costituita, rappresentano pur sempre etnie di origine e culture diverse.

La stessa genesi della formazione di unità paramilitari che si oppongono al governo alimenta un nuovo tipo di economia sociale, fondata sulla violenza e su azioni criminali, organizzata in una rete di interrelazioni clandestine che si sovrappongono e si amalgamano tra loro. In particolare, il denaro viene reperito attraverso rapine, traffico di stupefacenti, gestione della immigrazione clandestina e rapimenti di occidentali.

I riscatti pagati da vari paesi, soprattutto europei, hanno permesso ad al Qaeda ed i suoi affiliati di raccogliere dal 2008 una cifra pari a 93 milioni di euro, secondo un’indagine pubblicata da The New York Times.

Purtroppo, come ha spiegato Rukmini Callimaki, l’autrice dell’inchiesta ad Africa ExPress, Rossella Urru, ha risposto negativamente alla richiesta di un‘intervista per sapere esattamente cos’è successo durante il suo rapimento cominciato il 22 ottobre 2011 in Algeria e terminato il 17 luglio 2012 in Mali. Il riscatto – come ha raccontato Africa ExPress – per la sua liberazione e per quella dei suoi due compagni di prigionia spagnoli – fu pagato e portato a Gao, in Mali, nelle mani dell’Emiro di Al Qaeda nel Maghreb Islamico, Abdul Hakim, da emissari del Burkina Faso.

Un altro riscatto, questa volta di tre milioni di euro, fu pagato per la liberazione di Maria Sandra Mariani, sequestrata il 2 febbraio 2011 e rilasciata oltre un anno dopo il 17 luglio 2012. Il beneficiato era stato l’algerino Abu Zeid il cui vero nome è Abid Hamadou, uno dei capi di Al Quaeda nel Maghreb Islamico,

Nonostante i governi europei abbiano sempre negato il pagamento di questi riscatti (in Italia è vietato per legge), il quotidiano americano assicura che diversi di loro – Francia, Spagna, Svizzera, Austria – hanno rilasciato cifre significative per la liberazione di cittadini sequestrati in Africa e Medio Oriente.

Secondo The New York Times, la Francia avrebbe pagato dal 2008 un minimo di 43,3 milioni di euro, la Svizzera 9,25 milioni, la Spagna 8,2 milioni e l’Austria 2,3 milioni. Inoltre, l’Oman e il Qatar avrebbero pagato circa 15,2 milioni di euro per la messa in libertà di alcuni cittadini europei.

Solo nel 2013, i gruppi legati ad al Qaeda avrebbero ricevuto 49,2 milioni di euro. L’organizzazione che ha tratto maggior profitto dai sequestri è Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI), che dal 2008 ha incassato almeno 68,2 milioni di euro. La maggior parte di questo denaro è stato pagato da imprese pubbliche francesi.

Le informazioni raccolte da The New York Times sono frutto di interviste ad ex ostaggi, negoziatori diplomatici e funzionari di dieci paesi diversi. I pagamenti da parte dei governi vengono camuffati nei modi più svariati, come ad esempio gli “aiuti allo sviluppo”. Un ostaggio può essere pagato dal proprio Paese di origine fino a 7,4 milioni di euro.

Dei 53 ostaggi rapiti negli ultimi cinque anni dai vari rami di al Qaeda, un terzo era di origine francese e più del 20 per cento proveniva da paesi come Austria, Svizzera e Spagna. Solo tre statunitensi sono stati sequestrati da Al Qaeda in questo periodo. Stati Uniti e Regno Unito sono due dei paesi che la testata newyorchese descrive come “totalmente” contrari a pagare riscatti ai terroristi.

Ma anche un’economia che alimenta il traffico di armi, i cui ricavati sovvenzionano gruppi estremistici in altre aeree destabilizzate dell’Africa e del Medio Oriente.

Dimitri Amilakhvari
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
twitter: @cotoelgyes
(4- continua)

Qui trovi la prima puntata del Dossier Libia: Un caos che viene da lontano

Qui trovi la seconda puntata del Dossier Libia: La lotta per le connessioni petrolifere

Qui trovi la terza puntata del Dossier Libia: Le milizie prendono il sopravvento: stranieri in fuga

La prossima, quinta e ultima puntata del Dossier Libia sarà: Un arcipelago di milizie impossibili da controllare

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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