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Somalia: ucciso da un missile americano Godane, sanguinario leader degli shebab

Massimo A. Alberizzi
5 settembre 2014
Il Pentagono ha confermato che Ahmed Abdi Godane, leader degli shebab somali e capo supremo delle operazioni di Al Qaeda nell’Africa orientale, è stato ucciso durante un attacco effettuato con un missile AGM-114 Hellfire, teleguidato (lanciato probabilmente da una nave) il 1° settembre scorso. La notizia è stata data dal vertice della NATO in corso in Galles.

Godane, che viaggiava su una strada vicino Brava (un centinaio di chilometri a sud di Mogadoscio)  ha seguito la sorte toccata a un altro capo shebab Aden Ashi Aeru, ucciso da un missile lanciato da una nave militare americana che incrociava davanti alle coste dell’ex colonia italiana il 1° maggio 2008, e di Saleh Ali Saleh Nabhan, ammazzato da un commando elitrasportato, piombato sul convoglio dove stava viaggiando anche lui nei pressi di Brava, il 16 settembre 2009.

Saleh era ricercato per gli attentati del 1998 contro le ambasciate Usa di Nairobi e Dar es Salaam e in quelli del 2002 a Mombasa contro un hotel e un aereo civile israeliano.

Invece Aeru era stato mio autista per un certo periodo durante la guerra di Somalia combattuta dalle truppe dell’Unosom (compresi gli italiani) nel 1993. Proprio per questo era intervenuto a mio favore quando sono stato rapito dalle Corti Islamiche nel dicembre 2006.

Godane era diventato capo delle operazioni di Al Qaeda in Africa Orientale nell’agosto 2011, dopo che  nel giugno precedente l’allora leader era stato ucciso perché incappato per sbaglio in un posto di blocco governativo a Mogadiscio

Era ben conosciuto nella capitale  per il pugno di ferro con cui guidava i fondamentalisti islamici. Pugno di ferro con guanto di velluto perché si vantava di essere ricercato poeta e raffinato intellettuale. Aveva stroncato numerose faide interne alla centrale terrorista e fatto uccidere un po’ di leader emergenti. Non tollerava antagonisti.

Non era del sud. La sua cabila era l’issak, originaria del Somaliland. Forse, proprio per il fatto che era un “forestiero”, era riuscito ad arrivare ai vertici del gruppo terrorista. In Somalia bisogna sempre tener presente che la lealtà di clan è molto più forte di quella verso l’islam. Probabilmente, perché non implicato in faide claniche, era riuscito a mettere d’accordo un po’ tutti sul suo nome.

Ora, morto di Godane, occorrerà vedere che emergerà come capo degli shebab. I ranghi dei leader sono stati decimati, un po’ per faide interne, un po’ perché uccisi dai governativi e dai loro alleati dell’Unione Africana. Per ora resta solo un capo ben conosciuto: Fuad Mohamed Qalaf dello Shangole, famoso per aver condannato alla lapidazione una ragazzina tredicenne colpevole di non rispettare l’austerità dei vestiti islamici e il giorno stesso di aver ordinato di amputare una mano a un giovane accusato di aver rubato merce per un valore di un centinaio di euro.

Sapientemente nascosto da qualche parte una vecchia volpe dell’integralismo islamico somalo sembra sia ancora il regista delle azioni degli shebab: Hassan Abdullah Hersi al-Turki, o più semplicemente Hassan Turki. Dato per morto parecchie volte, è sempre sfuggito agli attacchi degli americani. Lui, nato in Ogaden (la regione etiopica abitata da somali) amico di Osama Bin Laden, colonnello dell’esercito ai tempi della dittatura di Siad Barre, è il vero ideologo (ma anche capo militare) dell’arcipelago fondamentalista del Corno d’Africa.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi

Nelle foto: un gruppo di Shebab, telefonini e nuove tecnologia in uso dai miliziani,  Un militante shebab in video su youtube.

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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