Sud Sudan i negoziati ad Addis Abeba sull’orlo del fallimento: ricomincia la guerra?

Dalla Nostra Inviata Speciale
Bianca Saini
Nairobi, 1° settembre 2014

Si complica la ricerca di una soluzione politica della crisi sud sudanese. L’ultimo incontro, tenutosi il 25 agosto ad Addis Abeba dopo settimane di interruzione dei negoziati, si è risolto in un nulla di fatto, nonostante la firma di importanti documenti (il protocollo di indirizzo per i provvedimenti transitori che devono portare alla soluzione della crisi e la matrice per la cessazione delle ostilità che impegna al congelamento delle forze in campo sulle posizioni del momento della firma), se non addirittura in un passo indietro nella costruzione di quella fiducia nei negoziatori, e tra le due parti in conflitto, necessaria per far proseguire positivamente le trattative.

Secondo ricostruzioni di organi di stampa locali e di testimoni, i mediatori, supportati dai capi di Stato dei paesi IGAD, avrebbero introdotto modifiche non irrilevanti ai documenti concordati portati alla firma delle due parti. Il presidente Kiir (dinka) ha firmato, forse più in qualità di capo di Stato che di parte in causa (si nota, ad esempio, che la sua firma è apposta solo sull’ultima pagina, ma non sulle pagine precedenti), il suo rivale Machar non ha firmato. Anzi SPLM-IO, (IO sta per “In Opposition”), da parte sua, ha rilasciato un durissimo comunicato stampa, in cui accusa i mediatori di sostenere la parte del presidente, SPLM-Juba faction, minacciando addirittura di riprendere i combattimenti su larga scala.

Il punto più controverso riguarda il quadro istituzionale della governance del paese nel periodo di 30 mesi dalla formazione di un governo provvisorio di unità  nazionale. Viene infatti introdotta la figura del primo ministro, oggi non prevista, cui Kiir si era pubblicamente e duramente opposto. Nel documento si dice chiaramente che questo primo ministro dovrà essere nominato dall’opposizione, dovrà essere gradito al presidente e non potrà competere alle elezioni previste alla fine del periodo transitorio. Del presidente si dice che sarà l’attuale presidente in carica, cioè Salva Kiir, che così ha il potere ancora saldamente nelle sue mani per i 30 mesi del periodo di transizione. E’ chiaro che Kiir ha dovuto digerire l’introduzione del primo ministro, ma si è garantito di averlo sotto controllo. E’ altrettanto chiaro che Machar, che da subito ha chiesto l’allontanamento di Kiir dal potere, non ha avuto dai mediatori una contropartita sufficiente.

SPLM-IO contesta anche il periodo di 45 giorni, a partire dal 25 agosto, concessi dai mediatori per la formazione del governo transitorio. Afferma che il termine dovrà essere usato per arrivare a un documento condiviso. Solo dopo si potrà capire quanto tempo ci vorrà per la formazione del nuovo governo e la chiusura della crisi.

Intanto, il terzo gruppo di politici sudanesi seduto al tavolo negoziale, SPLM leaders (cioè gli ex ministri e rilevanti politici dell’SPLM detenuti con l’accusa di aver complottato un colpo di Stato e più tardi rilasciati e mandati in esilio in Kenya) chiede una quota del 25% dei posti nel prossimo governo provvisorio. I partiti di opposizione, pure seduti al tavolo delle trattative e guidati da una figura autorevole nel mondo politico sud sudanese, Lam Akol (di etnia shilluk), non vengono nominati, ma il gruppo è in subbuglio e dice che Lam è passato armi e bagagli all’SPLM leaders, cosa che l’interessato nega recisamente. Ma è chiaro che anche l’opposizione vorrà la sua parte in un governo di unità nazionale.

E la gente, che dice? Il Sudan Tribune riporta oggi una serie di dichiarazioni raccolte in uno dei campi per la protezione dei civili di Juba; gli sfollati chiedono alla comunità internazionale che si adoperi perché i due rivali restino fuori dal prossimo governo di unità nazionale, mentre i loro racconti rendono palpabile l’assoluta mancanza di fiducia nel governo di Salva Kiir. E’ vero però che, nel campo, gli sfollati sono tutti di etnia Nuer, quella di Machar.

Insomma, l’ultimo incontro di Addis sembra aver aperto molti problemi, più che aver avviato la soluzione di quelli, difficili e spinosi, già sul tappeto.

A complicare la situazione un episodio gravissimo e ancora non chiarito: l’abbattimento di un elicottero della missione di pace – UNMISS (UN Mission in South Sudan) – nelle vicinanze di Bentiu. E’ ormai chiaro che non si è trattato di un incidente, ma solo un’inchiesta dirà chi porta la responsabilità di aver attaccato un volo umanitario. Il governo è sicuro che siano stati i ribelli, guidati nell’area da Peter Gadet, già sottoposto a sanzioni internazionali per il modo di condurre la guerra nei mesi scorsi, e che ha recentemente dichiarato che non avrebbe permesso il sorvolo del territorio nelle sue mani.

I ribelli negano e invitano la commissione UN a verificare, promettendo tutto l’appoggio necessario. La zona in cui l’aereo è stato abbattuto è contesa e solo la valutazione delle armi usate potrà, forse, fare chiarezza. E’ chiara però la valenza dell’atto. Toby Lazer, il più alto funzionario UN nel paese, ha dichiarato che si è trattato di un attacco diretto all’ONU e alle operazioni umanitarie.

Intanto i voli umanitari, l’unico modo per raggiungere lo stato di Unity, tra i più tormentati dai combattimenti dei mesi scorsi, sono stati sospesi. Questo significa che centinaia di migliaia di persone sono attualmente senza soccorsi, e senza aiuti alimentari, in una zona già dichiarata in emergenza e sull’orlo della carestia.

Bianca Saini
biancasaini2000@gmail.com

Nelle fotografie nell’ordine: Riek Machar, Salva Kiir e Lam Achol

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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