Dalla fine della guerra civile il Paese non ha istituzioni politiche generalmente riconosciute e forze di sicurezza in grado di controllare il territorio. Le milizie tribali armate e le formazioni di ispirazione jihadista collaborano con le organizzazioni criminali che gestiscono i traffici illeciti rivolti verso sia l’Europa che l’Africa. Manca ancora una costituzione in grado di assicurare la sicurezza interna, garantire la riconciliazione nazionale e tutelare il rispetto dei diritti umani.
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Dimitri Amilakhvari
Cornelia I. Toelgyes
E’ il 4 giugno del 2012 quando le brigate di al-Awfea, miliziani armati che si avvalgono anche di alcuni carri armati, circondano l’aeroporto di Tripoli obbligando le autorità a bloccare il traffico aereo. I voli in partenza vengono cancellati, quelli in arrivo dirottati sul vicino aeroporto militare e i passeggeri costretti a scendere dai velivoli o a lasciare le sale d’aspetto. Durante l’assalto vengono esplosi diversi colpi di arma da fuoco che causano il ferimento di un impiegato mentre le piste vengono pattugliate da pick-up corazzati.
Anche se i ribelli di Tarhuna sono guardati con sospetto dalle altre brigate armate per via dei ruoli di primo piano ricoperti dai suoi esponenti durante il regime di Gheddafi, il portavoce del Consiglio Nazionale di Transizione si affretta ad annunciare l’apertura di un’inchiesta sulla sparizione del colonnello Mohamed al Harizi, confermando la totale estraneità nella vicenda della sua scomparsa.
In realtà, l’episodio si innesta in un più generale caos politico e paramilitare che si è creato nel Paese in prossimità delle prossime elezioni, prima previste per il 19 giugno e poi rimandate per motivi “tecnici e logistici” al 7 luglio 2012.
Adesso si tratta di assegnare 200 seggi per l’Assemblea costituente, scelti tra 80 proposti dai partiti politici e i rimanenti tra candidati indipendenti. Inoltre, la Commissione elettorale ne ha previsto la suddivisione tra la ex Tripolitania (100 seggi), la ex Cirenaica (60) e il Fezzan (40).
I partiti principali sono Giustizia e Sviluppo (denominato anche Costruzione), il ramo politico dei Fratelli Mussulmani, al Watan, guidato da Abdel Hakim Belhaj, l’ex leader del Gruppo Combattente dei Libici Islamici, e la coalizione delle Forze Nazionali, i moderati della nuova Libia guidati dall’ex premier del Consiglio Nazionale di Transizione, Mahmoud Jibril.
Sin dall’inizio appare chiaro che la vittoria potrebbe essere assegnata ai moderati, la coalizione delle Forze Nazionali guidata da Mahmoud Jibril. La Libia in questo caso sarebbe il primo Paese delle rivolte arabe che non assegna la guida del Paese agli islamici dopo la caduta dei rispettivi regimi, come nel caso dell’Egitto e della Tunisia.
Ma prima ancora di conoscere l’esito del voto, con una mossa a sorpresa, il Consiglio Nazionale Provvisorio approva una legge che decide di togliere al Congresso la possibilità di designare i 60 membri dell’Assemblea, lasciando la decisone direttamente al popolo. Sembra che in questo modo si siano soddisfatte le aspettative dei federalisti della Cirenaica, ovvero un ugual numero di rappresentanti rispetto alla Tripolitania.
Ma è nella ricorrenza dell’undicesimo anniversario dell’attacco alle Torri Gemelli che si consuma l’attentato più grave. L’11 settembre del 2012 viene compiuto un atto terroristico ai danni della sede del consolato americano a Bengasi che provoca la morte dell’ambasciatore statunitense, Christopher Stevens, e di altri tre uomini della sicurezza che lo avevano accompagnato da Tripoli a Bengasi per una breve visita. Nell’attacco perdono la vita anche altri cinque civili americani e una decina di agenti di sicurezza libici.
Le prime notizie attribuiscono la responsabilità ad un gruppo di manifestanti che stava protestando contro un film considerato blasfemo sulla vita del profeta Maometto, ma secondo le autorità libiche ci sarebbe la mano di elementi fedelissimi all’ex dittatore Gheddafi.
La reazione di Washington è particolarmente dura e anche il Consiglio di Sicurezza dell’Onu approva una risoluzione di condanna degli assalti compiuti anche ai danni di altre sedi diplomatiche nel mondo arabo per le proteste contro il film anti islamico (in Egitto i manifestanti hanno scalato i muri dell’ambasciata americana del Cairo e hanno abbattuto la bandiera a stelle e strisce per bruciarla in piazza).
Il 20 ottobre 2012 il portavoce del Congresso, Omar Homidan, annuncia la morte di Khamis Gheddafi, il settimo e più giovane figlio del deposto rais. Proprio nel giorno dell’anniversario della morte del colonnello, nello scontro di Bani Walid tra i miliziani filogovernativi e i fedelissimi di Gheddafi, il figlio di ventinove anni, già dato per morto altre quattro volte, rimane ucciso in seguito alle ferite riportate.
Dimitri Amilakhvari
Cornelia I. Toelgyes
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1 – continua
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