Dossier Libia-1/Un caos che viene da lontano

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Dalla fine della guerra civile il Paese non ha istituzioni politiche generalmente riconosciute e forze di sicurezza in grado di controllare il territorio. Le milizie tribali armate e le formazioni di ispirazione jihadista collaborano con le organizzazioni criminali che gestiscono i traffici illeciti rivolti verso sia l’Europa che l’Africa. Manca ancora una costituzione in grado di assicurare la sicurezza interna, garantire la riconciliazione nazionale e tutelare il rispetto dei diritti umani.

 Nostro Servizio Particolare
Dimitri Amilakhvari
Cornelia I. Toelgyes
E’ il 4 giugno del 2012 quando le brigate di al-Awfea, miliziani armati che si avvalgono anche di alcuni carri armati, circondano l’aeroporto di Tripoli obbligando le autorità a bloccare il traffico aereo. I voli in partenza vengono cancellati, quelli in arrivo dirottati sul vicino aeroporto militare e i passeggeri costretti a scendere dai velivoli o a lasciare le sale d’aspetto. Durante l’assalto vengono esplosi diversi colpi di arma da fuoco che causano il ferimento di un impiegato mentre le piste vengono pattugliate da pick-up corazzati.

carro due cannoniIl gruppo armato che ha preso d’assalto lo scalo è la brigata al Awfea, originaria di Tarhuna, una città a 80 km a sudest di Tripoli, e i responsabili dell’operazione richiedono l’immediata liberazione del leader al Habashi, misteriosamente scomparso la notte precedente.

Anche se i ribelli di Tarhuna sono guardati con sospetto dalle altre brigate armate per via dei ruoli di primo piano ricoperti dai suoi esponenti durante il regime di Gheddafi, il portavoce del Consiglio Nazionale di Transizione si affretta ad annunciare l’apertura di un’inchiesta sulla sparizione del colonnello Mohamed al Harizi, confermando la totale estraneità nella vicenda della sua scomparsa.

In realtà, l’episodio si innesta in un più generale caos politico e paramilitare che si è creato nel Paese in prossimità delle prossime elezioni, prima previste per il 19 giugno e poi rimandate per motivi “tecnici e logistici” al 7 luglio 2012.

libya_map2Quando vengono aperti i seggi, per le prime elezioni libere dal 1964, la popolazione è chiamata a scegliere i membri dell’Assemblea costituente tra 2.500 candidati (solo 629 donne). Arrivano in Libia anche gli osservatori internazionali per vigilare sulla correttezza delle operazioni (esperti dell’Unione Europea e del Carter Centre). Le ultime elezioni si erano svolte 48 anni prima, quando a guidare il Paese era re Idriss prima di essere deposto cinque anni più tardi da Muammar Gheddafi, l’uomo che ha vietato i partiti politici durante i suoi 42 anni di regime.

Adesso si tratta di assegnare 200 seggi per l’Assemblea costituente, scelti tra 80 proposti dai partiti politici e i rimanenti tra candidati indipendenti. Inoltre, la Commissione elettorale ne ha previsto la suddivisione tra la ex Tripolitania (100 seggi), la ex Cirenaica (60) e il Fezzan (40).

I partiti principali sono Giustizia e Sviluppo (denominato anche Costruzione), il ramo politico dei Fratelli Mussulmani, al Watan, guidato da Abdel Hakim Belhaj, l’ex leader del Gruppo Combattente dei Libici Islamici, e la coalizione delle Forze Nazionali, i moderati della nuova Libia guidati dall’ex premier del Consiglio Nazionale di Transizione, Mahmoud Jibril.

campo battagliaQueste elezioni hanno lo scopo di nominare legittimamente la nuova leadership del Paese, attualmente in mano al Consiglio Nazionale Transitorio, un organo non-eletto e formato dai leader tribali oppositori di Gheddafi, ma riconosciuti dalla comunità internazionale. Ma anche quello di nominare un nuovo governo, attualmente guidato dal primo ministro Abdurrahim el Keib e nominare una commissione per redigere una Costituzione, successivamente da ratificare con un referendum.

Sin dall’inizio appare chiaro che la vittoria potrebbe essere assegnata ai moderati, la coalizione delle Forze Nazionali guidata da Mahmoud Jibril. La Libia in questo caso sarebbe il primo Paese delle rivolte arabe che non assegna la guida del Paese agli islamici dopo la caduta dei rispettivi regimi, come nel caso dell’Egitto e della Tunisia.

Ma prima ancora di conoscere l’esito del voto, con una mossa a sorpresa, il Consiglio Nazionale Provvisorio approva una legge che decide di togliere al Congresso la possibilità di designare i 60 membri dell’Assemblea, lasciando la decisone direttamente al popolo. Sembra che in questo modo si siano soddisfatte le aspettative dei federalisti della Cirenaica, ovvero un ugual numero di rappresentanti rispetto alla Tripolitania.

passamontagnaAlla fine del mese di agosto del 2012, durante la festa di Eid ul Fitr che celebra la fine del mese sacro del Ramadan, tre autobombe esplodono nel cuore della capitale, nei pressi del ministero degli Interni e dell’Accademia di Polizia femminile, causando la morte di due persone e il ferimento di molte altre. Queste vittime sono le prime nel Paese dopo la fine di Gheddafi e confermano l’alto livello di tensione che si è raggiunto dopo che il Consiglio nazionale ha deciso di trasferire i poteri all’Assemblea legislativa.

Ma è nella ricorrenza dell’undicesimo anniversario dell’attacco alle Torri Gemelli che si consuma l’attentato più grave. L’11 settembre del 2012 viene compiuto un atto terroristico ai danni della sede del consolato americano a Bengasi che provoca la morte dell’ambasciatore statunitense, Christopher Stevens, e di altri tre uomini della sicurezza che lo avevano accompagnato da Tripoli a Bengasi per una breve visita. Nell’attacco perdono la vita anche altri cinque civili americani e una decina di agenti di sicurezza libici.

Le prime notizie attribuiscono la responsabilità ad un gruppo di manifestanti che stava protestando contro un film considerato blasfemo sulla vita del profeta Maometto, ma secondo le autorità libiche ci sarebbe la mano di elementi fedelissimi all’ex dittatore Gheddafi.

esplosioneIn ogni caso, per alcuni siti legati ad al Qaeda la morte dell’ambasciatore sarebbe la reazione della milizia al Sharia dopo la morte del numero due dell’organizzazione libica terroristica legata all’internazionale fondata da Osama Bin Laden. Anche secondo la CNN, l’attacco era stato pianificato da tempo e quello della pellicola blasfema sarebbe stato un semplice diversivo.

La reazione di Washington è particolarmente dura e anche il Consiglio di Sicurezza dell’Onu approva una risoluzione di condanna degli assalti compiuti anche ai danni di altre sedi diplomatiche nel mondo arabo per le proteste contro il film anti islamico (in Egitto i manifestanti hanno scalato i muri dell’ambasciata americana del Cairo e hanno abbattuto la bandiera a stelle e strisce per bruciarla in piazza).

morti lungo la stradaGli Stati Uniti pianificano l’uso di droni per sorvolare la Libia orientale in cerca dei campi jihadisti collegati all’attacco, e in ogni caso vengono inviati 200 marines per “rafforzare la sicurezza nelle sedi di Tripoli e Bengasi”, oltre che in quelle del Cairo e di Kabul. Si tratta di una squadra appartenente alla Fleet Antiterrorism Security Team e composta da 50 marines specializzati. Inoltre, Washington decide di evacuare dalla Libia tutto il personale diplomatico, lasciando a Tripoli soltanto un’unità di emergenza.

Il 20 ottobre 2012 il portavoce del Congresso, Omar Homidan, annuncia la morte di Khamis Gheddafi, il settimo e più giovane figlio del deposto rais. Proprio nel giorno dell’anniversario della morte del colonnello, nello scontro di Bani Walid tra i miliziani filogovernativi e i fedelissimi di Gheddafi, il figlio di ventinove anni, già dato per morto altre quattro volte, rimane ucciso in seguito alle ferite riportate.

Dimitri Amilakhvari
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
twitter @cotoelgyes
1 –  continua

Qui trovi la seconda puntata del Dossier Libia: La lotta per le concessioni petrolifere
Qui trovi la terza puntata del Dossier Libia: Le milizie prendono il sopravvento, gli stranieri in fuga
Qui trovi la quarta puntata del Dossier Libia: Il denaro per pagare i riscatti (93 milioni di dollari) foraggia i terroristi
Qui trovi la quinta puntata del Dossier Libia: Un arcipelago di milizie impossibili da controllare

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