Nostro Servizio Particolare
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 23 agosto 2014
Un portavoce della sede centrale africana dell’Organizzazione Mondiale della Sanità a Brazzaville (capitale della Repubblica del Congo) in un comunicato ha fatto sapere che nelle ultime settimane nelle regioni settentrionali della Repubblica Democratica del Congo, sono morte oltre 70 persone per febbre emorragica. Un sacerdote locale, che ha voluto mantenere l’anonimato, ha rettificato: “Sono cento”. Chi è entrato in contatto con i deceduti, viene seguito a domicilio per 21 giorni da una équipe medica specializzata.
La prima epidemia di ebola è scoppiata il 26 agosto, 1976, a Yambuku, una città nel nord di quello che allora si chiamava Zaire e ora RDC. Il virus colpì un’insegnante di 44 anni, Mabalo Lokela, dopo un viaggio nell’estremo nord del Paese. Immediatamente si pensò che la donna fosse affetta da malaria. Ben presto si presentarono altri sintomi. Loleka mori l’8 settembre 1976. I morti durante questa prima epidemia apparsa in Congo, nella Valle dell’Ebola, furono 280.
Ebola non ferma la sua folle corsa. I morti sono 1428 nei quattro Paesi (Guinea, Liberia , Nigeria e Sierra Leone), ma si teme che siano molti di più. Non tutti i casi vengono registrati dalle autorità competenti, per una serie di motivi. Molte famiglie, per esempio, non ricoverano il proprio congiunto. Non vogliono che resti solo, abbandonato in un reparto d’isolamento; si aggiunge la paura, la vergogna, di essere additati dai vicini per avere un caso d’ebola in famiglia.
Inoltre numerosi centri sono stati chiusi perché il personale medico e paramedico è fuggito, mentre in Liberia la maggior parte degli ospedali autorizzati e attrezzati con centri di isolamento per accogliere i malati di ebola è sovraffollato. Ci sono molte cosiddette “zone d’ombra” dove sono stati registrati casi di ebola, ma inaccessibili o per forti resistenze da parte della popolazione locale o per mancanza di personale specializzato.
Non sarà facile controllare l’epidemia in breve tempo, se non si riescono ad abbattere tutte queste barriere culturali e logistiche. Per proteggere la popolazione del proprio Paese, alcuni governi africani, ignorando le raccomandazioni dell’OMS, hanno chiuso le proprie frontiere. [embedplusvideo height=”530″ width=”590″ editlink=”http://bit.ly/1q6baAR” standard=”http://www.youtube.com/v/XasTcDsDfMg?fs=1&vq=hd720″ vars=”ytid=XasTcDsDfMg&width=590&height=530&start=&stop=&rs=w&hd=1&autoplay=0&react=1&chapters=¬es=” id=”ep3133″ /]
E’ il caso del Senegal. Il ministro della sanità Eva Marie Colle Seck ha spiegato alla BBC: “Abbiamo momentaneamente chiuso le nostre frontiere con la Guinea. Il divieto è ovviamente non esteso a voli umanitari. Inoltre, l’OMS deve capire, imparare. Tutti lo dobbiamo fare”.
Anche il primo ministro del Ciad Kalzeubet Payimi Deubet ha annunciato misure simili: “E’ necessario chiudere le nostre frontiere con la Nigeria per una questione di pubblica sicurezza, per proteggere la salute della nostra popolazione”. Deubet ha aggiunto: “Non sarà facile affrontare l’impatto socio-economico che ne deriva: mancanza di cibo, carburante, ma la salute dei cittadini ha la priorità”.
L’OMS è contraria a queste misure. Le conseguenze dell’isolamento potranno essere gravi. Già ora in alcune zone dei quattro Paesi colpiti dall’ebola (Guinea, Sierra Leone, Liberia, Nigeria) si fa sentire la mancanza di cibo, carburante e altri beni di prima necessità. Il World Food Programme, agenzia delle Nazioni Unite, sta già distribuendo cibo e beni di prima necessità ad oltre un milione di persone residenti nelle zone più colpite in Guinea, Sierra Leone e Liberia, proprio perché totalmente isolate.
Dunque ebola non è solo un virus killer che uccide le persone: colpisce l’economia, mette in ginocchio nazioni intere, già tra le più povere al mondo. Investitori stranieri rimpatriano il proprio staff e si registra la chiusura momentanea di molte aziende. Per non parlare del turismo. Sì, ebola è un killer a 360 gradi.
L’ZMapp è un medicinale in fase di sperimentazione, dunque non ancora prodotto su larga scala. Una quindicina di giorni fa il comitato etico dell’OMS ha autorizzato la ditta farmaceutica che lo produce, la Mapp Biopharmaceutical di San Diego (Texas USA) ad esportare alcune dosi in Liberia per curare il personale sanitario affetto da ebola. I tre medici liberiani sotto terapia stanno bene, migliorano di giorno in giorno.
Per combattere l’ebola, non basta solamente un farmaco; bisogna circoscrivere il contagio e per questo è necessario abbattere barriere culturali (sepoltura corretta dei cadaveri, registrazione degli ammalati, autorizzazione a seguire attentamente chi è venuto in contatto con la malattia, per fare alcuni esempi). Difficili da sradicare anche consolidate abitudini alimentari: nelle zone colpite dell’Africa occidentale, per esempio, il pipistrello della frutta, portatore sano del virus, è considerato una prelibatezza.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
twitter: @cotoelgyes
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