Massimo A. Alberizzi
10 agosto 2014
Peccato, un’altra occasione persa che però mostra molto bene qual è l’attitudine dei grandi del mondo verso l’Africa. Durante il suo viaggio in Ghana, nel 2009, il presidente degli Stati Uniti  Barak Obama aveva rimproverato i leader africani. Il futuro del continente – aveva più o meno sostenuto in un discorso che rompeva gli schemi del passato – deve essere nelle mani della gente non di uomini forti che governano contro i desideri delle popolazioni.

Chi si occupa di Africa da anni – me compreso – aveva letto quel discorso con grande speranza di cambiamento. Sembrava che nel futuro prossimo le politiche dell’Occidente, e degli Stati Uniti in particolare, dovessero cambiare, che si potesse porre un freno ai regimi che esercitano il potere in modo arbitrario e autoritario.

Invece il summit Africa/Stati Uniti, organizzato a Washington DC tra l’amministrazione americana e una cinquantina di leader africani, ha fatto crollare qualunque speranza. Obama ha sancito che non è ancora tempo di riscatto per la povera gente, che il business è molto più importante dei diritti umani e che la vendita delle armi in un continente dilaniato dalle guerre (che si vuole far apparire come tribali ma che tribali non sono e nascondono invece obiettivi non confessabili, l’accaparramento di risorse naturali).

LEADER CONTROVERSI
Gli invitati alla corte di Obama, a parte qualche eccezione, erano leader corrotti, ladroni, tiranni sanguinari e assassini. Certo l’establishment americano ha avuto il buon gusto di non invitare l’eritreo Isaias Afeworki, despota che affama il suo popolo, lo zimbabweano Robert Mugabe, gradasso e razzista che ha distrutto la sua nazione, e il sudanese Omar al Bashir, ricercato dal tribunale internazionale per crimini contro l’umanità e genocidio.

Ma non ha avuto nessun problema di coscienza a invitare il cleptocrate della Guinea Equatoriale Teodoro Obiang Nguema Mbasogo (che ha festeggiato il suo tretacinquesimo anno al potere il 3 agosto sull’aereo che lo portava a Washington), il suo compare angolano José Eduardo dos Santos (padre di Isabel la donna più ricca di tutta l’Africa), il gabonese Ali Bongo Ondimba (la dinastia è cominciata con il padre Omar, al potere per quarant’anni sotto l’amorevole ala protettrice francese) o il congolese di Brazzaville Denis Sassu Nguesso (per tornare al potere perso con libere elezioni ha scatenato una feroce guerra) o Uhuru Kenyatta (anche lui incriminato dal tribunale penale internazionale per aver scatenato le violenze intertribali durate le elezioni presidenziali del 2007). Questo solo per citare solo qualcuno degli ospiti, perché l’elenco è lungo.

RADICI AFRICANE
Nei vari incontri Obama non ha mancato di ricordare le sue radici africane ma si è dimenticato invece dei bei propositi contenuti nel suo discorso ad Accra del 2009. Non ha tenuto conto dei curriculum dei suoi ospiti, accusati di aver abolito la libertà di stampa e di associazione, di ordinare omicidi mirati degli oppositori politici, di praticare regolarmente la tortura o di gettare in carcere chiunque gli intralci il cammino.

Avrei voluto sentire un messaggio di condanna di queste pratiche che non hanno nulla a che fare con il diritto a manifestare il proprio pensiero, di partecipare alla vita politica del proprio Paese, di lottare per l’emancipazione della gente accanto a sé, principi sacrosanti sostenuti a parole da Obama. Sì, un vago accenno è venuto, ma assai misero, dopo le critiche lanciate dalle organizzazioni che difendono i diritti umani, Human Right Watch innanzi tutto.

BUSINESS E SICUREZZA
Obama ha dato la precedenza al business e alla sicurezza. Cioè alla concessioni minerarie (petrolifere in primo luogo) e alla muscolosa lotta al terrorismo. Ma sa che il suo gesto ha dato più forza ai tiranni che ora – legittimati dalla Casa Bianca – avranno ancora più potere, se mai ce ne fosse bisogno, per continuare a saccheggiare, torturare e ammazzare? Dove sono finiti i propositi di good governance e rispetto dei diritti umani? Tutta una farsa?

E se per il business si perdonano pesanti peccati ai dittatori che governano i Paesi ricchi di petrolio, per la sicurezza si assolvono gli arresti arbitrari di governi che restano al potere con la forza. E’ vero che l’Etiopia è stata al fianco degli Stati Uniti nella lotta contro gli shebab (cioè Al Qaeda in Somalia), ma per questo è giustificato chiudere gli occhi sull’involuzione autoritaria del governo di Addis Abeba del primo ministro etiopico Haile Mariam Desalegn?

Lì, alla faccia del tanto conclamato da Obama diritto alla libertà di stampa, ci sono blogger e giornalisti in galera accusati di terrorismo e di aver cospirato per rovesciare il regime.

PERSONE PER BENE
Certo, alla corte di Obama erano stati invitati anche leader “per bene”, come la presidente della Liberia Ellen Johnson Sirleaf che ha rinunciato al viaggio a Washington impegnata com’è a contrastare la terribile epidemia di ebola che ha gravemente colpito il suo Paese.

Il presidente ugandese Yoweri Museveni è stato abilissimo. Poco prima di imbarcarsi per l’America si è fatto aiutare dalla sua Corte suprema che ha annullato con un colpo di spugna la contestata legge che punisce gli omosessuali. La norma è stata cancellata “per vizio di forma”, perché è stata approvata senza che il parlamento avesse il numero legale e non perché è una porcata. Così contenti i fondamentalisti cristiani conservatori e contento Obama e l’opinione pubblica liberal che lo sostiene e chiedeva di tagliare tutti gli aiuti all’Uganda.

Potremmo continuare parlando dei killer inviati da governo ruandese per uccidere i dissidenti in esilio all’estero o del governo burundese che ha tradito le aspettative di democrazia varando una legge che prevede addirittura l’ergastolo per gli oppositori politici o della Nigeria dove, con la scusa di combattere i terroristi di Boko Haram, si giustificano le atrocità dell’esercito contro la popolazione civile.

UN LUNGO ELENCO
L’elenco potrebbe andare avanti fino a coprire la maggior parte dei Paesi africani i cui regimi dittatoriali sopravvivono grazie alla complicità dei Paesi occidentali e/o delle grandi compagnie, il cui coinvolgimento è stato spesso determinante per mantenere satrapi cleptocrati al potere.

Invitare certi leader sarebbe stato comprensibile se al centro delle discussioni di Washington ci fossero stati i diritti umani e il loro rispetto. Da Barak Obama e dalla sua amministrazione ci saremmo aspettati un richiamo all’etica nel business, invece sembra proprio che nonostante le assicurazioni di Susan Rice, consigliere per la sicurezza nazionale, questi argomenti siano stati relegati a semplici comparse La Rice prima del vertice aveva spiegato che “i diritti umani saranno trattati in una specifica riunione della società civile in cui si parlerà del buon governo”. In realtà, come ha scritto il Washinton Post in un editoriale, “Come tutti gli argomenti fastidiosi si troverà i pretesto per non discutere un bel niente a favore di cose più piacevoli come ‘l’innovazione civile’ e le minacce trasnazionali”. Cosa che si è poi puntualmente verificata.

CRESCITA ECONOMICA
In Africa
ci sono sette dei dieci Paesi con maggiore crescita economica. Recentemente la Nigeria ha superato il Sudafrica. Ma il continente ospita anche 16 tra i Paesi più repressivi del pianeta. Inoltre chi beneficia della crescita economica? Poche famiglie dell’élite dominante. Il grosso della popolazione vive (anzi, sopravvive) nella povertà più nera. E se osa protestare viene ammazzata, torturata, cacciata in galera.

Purtroppo gli Stati Uniti hanno rinunciato al loro ruolo trainante sulla strada della democrazia, dello sviluppo e della prosperità. Un paio di esempi possono spiegare meglio. Le amministrazioni che si sono succedute alla Casa Bianca criticavano le grossolane violazioni dei diritti umani perpetrate da Teodoro Obiang in Guinea Equatoriale. Poi negli anni ’90 sono stati scoperti importanti giacimenti di petrolio, sono arrivate le grandi multinazionali e le critiche violente come solenni sberle sono state sostituite da buffetti gentili e prudenti.

Stesso trattamento per Paul Kagame, accusato di aver instaurato in Ruanda un regime repressivo che contempla esecuzioni sommarie degli oppositori politici (anche per quelli che si sono rifugiati all’estero). Come ha spiegato John Campbell, ex ambasciatore USA in Nigeria, “La comunità degli affari parla del leader ruandese da una differente prospettiva: del bassissimo livello di corruzione del Paese, di efficienza delle istituzioni, dell’approccio del governo a favore del business, della crescita degli standard di vita”. Tutte cose vere, per carità. Ma non si riescono a coniugare con i diritti umani? Non si può rinunciare a un po’ di soldi per ridurre le sofferenze di tanta gente?

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @mlberizzi

Alcune delle foto ricordo scattate alla Casa Bianca da Barak e Michelle Obama. Dall’alto: Teodoro Obiang e la moglie, il nigeriano Goodluck Jonathan, i gabonesi Ali e Sylvia Bongo, l’omofono  presidente del Gambia Yahya Jammey, famoso per saver dichiarato “se trovo un gay lo ammazzo con le me mani”, Paul Kagame e l’altissima figlia. Infine Blaise Campoarè, salito al potere dopo aver strangolato con le sue mani il suo migliore amico, il presidente del Burkina Faso Thomas Sanksrà, di cui era il vice.

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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