Nostro Servizio Particolare
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 30 luglio 2014
Oltre settantacinque migranti / richiedenti asilo hanno cercato di raggiungere le coste del sud Europa nei primi mesi di quest’anno, in barche fatiscenti e sovraccariche. Non tutti ce la fanno. Seconde le stime dell’UNHCR i morti sarebbero ottocento, ma ora bisogna aggiungere i centocinquanta che sono annegati proprio ieri notte a cento chilometri dalle coste di Tripoli. L’ennesima sciagura.
Un marito e papà, Yafet Isaias Andebrhan che non ha più notizie dalla moglie e dalla figlia, anche loro dovevano imbarcarsi il 28 giugno, ci ha scritto: “Aiutatemi a tradurre. Io non capisco l’italiano. Le e-mail che arrivano dalle autorità italiane o dalla CRI sono scritte in italiano e google-translator non è così preciso, poi non tutti abbiamo un pc a disposizione. Molti hanno solo un cellulare per comunicare ed è già molto. Io ora sono a Khartoum con l’altra mia figlia. Avremmo dovuto raggiungere mia moglie e la piccola, non appena avessi avuto i soldi”.
Non c’è un sistema per identificare i morti affogati, ha denunciato ieri IRIN (un servizio dell’ONU, che si occupa di analisi e notizie umanitarie). Spesso i migranti viaggiano senza documenti, altre volte non informano nemmeno i familiari dei loro spostamenti per non creare ansie e ulteriori preoccupazioni.
Dopo la strage di Lampedusa dello scorso 3 ottobre, i migranti, i loro familiari e le organizzazioni per i diritti dell’uomo hanno fatto pressione sui governi: è loro diritto sapere se il congiunto è deceduto. Quando non c’è un corpo, quando il figlio, fratello, marito sparisce in mare, è impossibile eseguire l’esame del DNA e il compito per dare risposte alle famiglie è ancora più arduo.
Robins aggiunge che è importante cercare di ricostruire le generalità laddove c’è un corpo. Tanti altri non saranno mai ritrovati. La loro tomba eterna resterà il mare, anche se si potrebbe facilmente ricostruire dove è accaduto il naufragio, chi ha viaggiato nello stesso barcone.
Oggi, dopo oltre nove mesi dalla sciagura di Lampedusa, il cinquanta percento dei oltre 350 deceduti non è stato ancora identificato, anche se il personale incaricato ha raccolto il materiale necessario per effettuare il test del DNA, ma se manca quello di un familiare stretto, impossibile fare un confronto per stabilire se il corpo appartiene al congiunto. Morti senza nome. Morti due volte. Famiglie intere e mamme disperate, che continuano a vivere con il dubbio, dubbi che uccidono corpo e anima.
Anche se si tratta di compiti che devono essere svolti dalle autorità locali, è necessario coinvolgere l’UE per quanto concerne le risorse necessarie.
Canali sicuri, basta morti in mare. Basta corpi senza nome, basta congiunti disperati alla ricerca dei loro familiari, che hanno dovuto lasciare il proprio Paese per guerre, persecuzioni, miseria. Basta aggiungere dolore al dolore.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
twitter: @cotoelgyes
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