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Cornelia I. Toelgyes
4 luglio 2014
“Entro il mese di agosto i bianchi devono cedere le loro terre ai neri”. Queste parole sono state pronunciate dal novantenne presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe durante un raduno con i suoi seguaci. L’unione degli agricoltori bianchi ha espresso il suo rammarico per queste nuove tensioni razziali. Tensioni inutili, visto che in tutto il Paese sono rimasti al massimo tra cento e centocinquanta agricoltori bianchi.
Qualcuno dell’opposizione mormora che è solo una mossa di Mugabe per distogliere l’attenzione dalla riforma agraria attuata dal 2000 al 2009, riforma che ha causato il collasso finanziario del Paese, perché ha costretto i bianchi a cedere le loro aziende agricole.
Anche Stanley Kwenda, analista della BBC per lo Zimbabwe, è rimasto sorpreso dalle esternazioni di Mugabe, visto e considerato che la riforma agraria doveva ritenersi terminata ben due anni fa.
Iniziata ufficialmente nel 1979, aveva previsto un passaggio graduale delle terre in mano ai bianchi, agli africani, in maniera molto soft: proprietari di terre ben disposti a vendere, compratori pronti ad acquistare. Per queste transizioni il governo della Gran Bretagna aveva messo a disposizione la somma di quarantaquattro milioni di sterline dal 1980 al 2000. Più tardi Londra ne aveva aggiunti altri quarantasette milioni per la riforma agraria e una somma forfettaria di cento milioni di sterline da usare per lo stesso scopo.
Negli anni Novanta furono acquisiti un po’ meno di un milione di ettari di terreno e poco meno di ventimila famiglie ne poterono usufruire, anche se non tutta quella terra era terreno coltivabile, cosa che si scoprì più tardi.
Nel 2000 la nuova costituzione che autorizzava il governo ad espropriare le terre senza alcun compenso fu bocciata da un referendum. Iniziò così la fase violenta della riforma agraria. Spesso le terre confiscate con la forza venivano date a familiari o amici di parlamentari. Naturalmente non avevano nessuna esperienza, non sapevano coltivare le terre in modo redditizio e ben presto le conseguenze si fecero sentire. Nel 2001 lo Zimbabwe era il sesto produttore di tabacco al mondo. Nel 2005 aveva prodotto meno di un terzo del 2000. Il peggior risultato degli ultimi cinquant’anni.
“Il paniere dell’Africa meridionale”, così era soprannominato lo Zimbabwe fino a qualche anno fa. Oggi a fatica produce il suo fabbisogno interno. Il quarantacinque percento della popolazione è malnutrita.
Mugabe durante il suo discorso nel quale ha annunciato le ultime riforme, ha anche aggiunto: “Non siate troppo gentili con i bianchi. Le terre sono vostre. Se vogliono rimanere, devono investire nell’industria”.
Gli ha risposto Hendricks Olivier, direttore dell’Unione agricoltori commerciali: “Certo, le esternazioni del presidente hanno creato ansia tra i coltivatori bianchi, ma – aveva aggiunto – noi vogliamo collaborare con il governo. Vedremo cosa succederà”.
Cornelia I. Toelgyes
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