Africa Express
28 giugno 2014
Il Consiglio dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite (HRC) ha istituito una commissione d’inchiesta in Eritrea, considerato uno degli Stati più repressivi del mondo. La commissione di tre membri riferirà le sue conclusioni tra un anno. In una dichiarazione, il Consiglio ha condannato le violazioni dei diritti umani “diffuse e sistematiche”, tra cui la tortura e altre pene crudeli. L’Eritrea, come era ovvio, ha respinto la risoluzione.
Naturalmente il dispotico governo del dittatore Isayas Afeworki, ha negato qualsiasi addebito. All’inizio di questo mese, quattro vescovi cattolici eritrei, forse per la prima volta, hanno avuto il coraggio di criticare pubblicamente il regime, sostenendo che il paese è ormai “desolato”.
Molti dei migranti annegati al largo di Lampedusa l’anno scorso venivano dall’Eritrea. I giovani devono fare il servizio militare fino all’età di 40 anni, una pratica che è giù stata condannata dalle Nazioni Unite. Si calcola che almeno tremila giovani fuggano ogni mese dal Paese, il cui livello di repressione è pari, se non superiore, a quello della Corea del Nord.
La denuncia di un Paese sulle presunte violazioni è qualcosa che molti Paesi, cercano disperatamente di evitare. Anche l’Eritrea con un lavoro di lobbying ha cercato di non far approvare la risoluzione che affida all’HRC l’inchiesta. In realtà il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite non può ordinare sanzioni e neppure deferire qualcuno alla Corte Penale Internazionale (solo il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha tali poteri).
Le sue indagini però ricevono un’enorme attenzione del pubblico. Recenti inchieste sulla Siria e sulla Corea del Nord hanno fatto notizia in tutto il mondo. Sono finite nelle mani di gruppi che difendono i diritti umani. E’ partita un’azione di lobbying, “indagare e svergognare”, nel tentativo di convincere e costringere quei regimi autoritari a cambiare registro.
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