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Ugandese accusato di pesante corruzione eletto presidente dell’assemblea dell’ONU

Nostro Servizio Particolare
Cornelia I. Toelgyes
13 maggio 2014
Sam Kutesa, ministro agli Esteri dell’Uganda, e prima ministro agli Investimenti, parlamentare, avvocato, uomo d’affari di successo, tra il 1994-1995 era delegato presso l’assemblea costituente, dunque uno dei padri fondatori della Costituzione ugandese, amico e consuocero del presidente Yoweri Museveni, è stato eletto ieri, durante la sessantanovesima sessione delle Nazione Unite a New York, nuovo presidente dell’assemblea. Kutesa è accusato di essere stato corrotto da una società petrolifera cui avrebbe assegnato delle concessioni. L’ONU così dà un bruttissimo esempio. L’organizzazione ufficialmente si batte contro la corruzione e poi accetta tra i suoi dirigenti una persona accusata di corruzione.

L’incarico di Kutesa avrà la durata di un anno. La sua candidatura è stata accettata senza alcuna opposizione e, una volta eletto, è stato applaudito dall’assemblea intera. Il segretario generale dell’Nazioni Unite gli ha rivolto parole cortesi, augurandogli successo per questo incarico di grande responsabilità.

La presidenza dell’assemblea generale delle Nazioni Unite viene assegnata a rotazione ai vari continenti; quest’anno spetta all’Africa e l’Unione Africana ha deciso di candidare Kutesa già nel maggio 2013,  dopo che il Camerun aveva ritirato il proprio candidato, Pierre Moukoko, ministro agli Esteri,

Il sessantacinquenne ugandese Kutesa vanta un curriculum di tutto rispetto ma anche pesanti accuse di corruzione e distrazione di denaro. Come ministro agli Investimenti, poltrona che ha occupato dal 2001 al 2005, è stato coinvolto in uno scandalo di tangenti pagate dalla Tullow Oil, compagnia petrolifera anglo-irlandese. Dal 2005 era ministro agli Esteri, ministero che ha guidato fino a ieri.

E proprio a proposito delle accuse di corruzione, il quotidiano britannico Independent aveva condotto un’approfondita inchiesta, cominciata nell’agosto 2010 quando il giornale aveva ricevuto alcuni documenti relativi a trasferimenti bancari a favore di due ministri ugandesi: Sam Kulesa, allora titolare degli Esteri, e Hillary Onek, responsabile dello Sviluppo energetico e minerario. Sul conto del primo sarebbero stati accreditati diciassette milioni di Euro provenienti dalla Tullow Oil, mentre solo sei milioni su quello della seconda.

L’Indipendent riportava che i documenti sembravano autentici, ma, specificava giustamente che, vista la cifra enorme in gioco e considerando investimenti e giro d’affari delle compagnie petrolifere, bisognava andare cauti prima di muovere delle accuse. http://www.independent.co.ug/cover-story/4750-oil-bribery-scandal

In questi casi i bravi e accorti giornalisti devono stare sempre molto attenti: c’è sempre in agguato qualcuno che ama fare disinformazione. Inoltre, specificava l’Independent: “Riconosciamo che la corruzione in Uganda non si vince solo emanando leggi, ci vuole soprattutto la volontà politica. Il governo deve dimostrare che non tollera il malaffare”.

“Abbiamo chiesto un appuntamento con il presidente Museveni, informandolo precedentemente che non avevamo la certezza assoluta che i documenti in nostro possesso fossero autentici – hanno raccontato i cronisti dell’Independent – . In nostra presenza Museveni ha preso visione della documentazione e ha ordinato al capo generale della polizia, Kael Kayura, di collaborare con noi. Avrebbe voluto arrestare i due ministri e il direttore responsabile della Tullow in Uganda, Brian Grover. Il pubblico ministero, Richard Butera, non avendo null’altro in mano che i documenti del trasferimento del denaro, non ha potuto incriminarli, visto che le parti hanno negato di avere conti all’estero. Le prove contro di loro erano insufficienti e sarebbe stato visto come un arresto politico, non come un fatto di giustizia”.

L’Indipendent ha continuato le sue ricerche: “Abbiamo cercato se le società menzionate nei trasferimenti bancari esistessero davvero. Esistono, tranne una,registrata in Kenya.Ci siamo rivolti alla polizia inglese e a quella maltese per ulteriori ricerche nei sistemi bancari per accertarci dell’autenticità dei documenti in nostro possesso. I risultati sono stati insoddisfacenti. Chiedemmo allora a una ditta specializzata nel settore. Visto il ruolo politico delle persone coinvolte, avevamo timore di non poter ottenere risultati concreti. Ma anche questa società, una delle migliori del settore, non trovò traccia dei documenti nei sistemi bancari del Regno Unito”.

Poi, il 10 ottobre dello stesso anno, la questione è piombata nel Parlamento ugandese come un fulmine a ciel sereno, durante una sessione straordinaria. Una petizione, firmata da centosessanta parlamentari chiedeva una sessione d’emergenza. Furono mosse accuse non solo ai due ministri in questione, tra i più potenti del governo sia per forza politica sia per parentela tramite matrimoni con il presidente, ma anche a Musenevi stesso, accusato di aver creato una forza di sicurezza speciale per controllare i campi petroliferi. A capo di questa forza c’è figlio di Museveni, Muhoozi Kainerugaba, mentre Il fratello minore del presidente, Caleb Akandwanaho aka più conosciuto come Salim Saleh, famoso per essere stato accusato di traffico d’armi, presta lo stesso tipo di servizio tramite la sua società privata, la Saracen.

Esiste anche un rapporto speciale, fatto da esperti d’azienda, intitolato “Oil Extraction and the Potential for Domestic Instability in Uganda”. Tale documento avverte che l’estrazione di petrolio potrebbe aumentare la corruzione e l’instabilità civile nel Paese africano. Una minore trasparenza potrebbe incentivare il governo Musenevi ad una maggiore autocrazia nei confronti degli oppositori pubblici e governativi.

Il 10 ottobre ed i giorni seguenti nel parlamento ugandese è accaduta una cosa inverosimile: oppositori e  parlamentari filogovernativi, rappresentati rispettivamente da Theodore Ssekibubo (Lwemiyaga) e Abdu Katuntu (Bugweri), con un documento comune bi-partisan, hanno chiesto di aver accesso a tutti contratti relativi all’estrazione di petrolio e relative concessioni. Ma non solo: hanno domandato il blocco momentaneo sui contratti, fino all’approvazione di nuove leggi che stabilissero regole chiare e precise sull’estrazione del petrolio.

Tra l’altro l’Uganda è stata al centro di critiche provenienti dal mondo intero per le sue leggi draconiane contro gli omosessuali varate recentemente. Persecuzioni che vanno contro i più elementari diritti dell’uomo. Lo stesso Ban-ki Moon aveva espresso le sue perplessità e nel febbraio 2014 aveva invitato il governo ugandese a rivedere la sua posizione rispetto agli omosessuali. Beh, Sam Kutesa ha voluto e sostenuto quelle leggi.

E ieri anche il segretario generale dell’ONU ha fatto gli auguri a Kutesa, i delegati di tutto il mondo hanno applaudito. Forse si sono dimenticati di rileggere i principi fondamentali dell’organizzazione, per esempio, l’articolo 5 dove c’è scritto che tra i suoi compiti c’è quello di “promuovere il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali a vantaggio di tutti gli individui”.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
twitter: @cotoelgyes

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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