Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 10 giugno 2014
Un importante capo shebab sheikh Mohamed Said, detto Atam, considerato uno dei vice del leader degli integralisti islamici Ahmed Abdi Godane, si è arreso sabato scorso ai governativi. Atam è famoso perché comandante di una milizia che opera sulle montagne Galgala a ridosso di Bosaso, la capitale commerciale del Puntland. Il suo gruppo (conosciuto come Galgala militia, appunto) aveva annunciato di fondersi con gli shebab solo nel marzo del 2012.
La catena Galgala è anche conosciuta come il Tora Bora somalo, il labirinto collinare in Afghanistan, fatto di caverne cunicoli e canyon quasi al confine con il Pakistan, dove Osama Bin Laden si era rifugiato per sfuggire alla cattura subito dopo l’attacco alle due torri l’’11 settembre 2001.
Tra l’altro, lo stesso Bin Laden negli anni ’90 aveva spedito un suo emissario in Somalia alla ricerca, sulle montagne Galgala, di un santuario dove potersi rifugiare. E stava proprio per venire in Somalia lo sceicco del terrore dopo l’attentato di Manhattan, ma all’ultimo momento – come hanno rivelato alcuni documenti rinvenuti della casa pakistana di Abbottabad dove è stato ucciso il 2 maggio 2011 – rinunciò. I capi della sua intelligence gli consigliarono di non fidarsi dei somali che avrebbero spifferato il segreto della sua nuova residenza per un pugno di dollari.
Più volte le autorità del Puntland hanno cercato di annientare i miliziani fedeli ad Atam ma senza riuscirci in pieno. In particolare c’era stata un’offensiva furibonda, dall’agosto all’ottobre 2010, durante la quale almeno 150 miliziani si erano arresi a passati, come si dice, armi e bagagli, con le forze del Puntland, inquadrati nell’intelligence.
Atam si rifugiò in Somaliland, anche se le autorità di questo Paese, hanno sempre negato la faccenda. Poi è rientrato sulle montagne Galgala. Nel suo curriculum vanta non solo decine di omicidi, atti di terrorismo, e collusioni con la pirateria, ma anche traffico di armi tra il Puntland e i combattenti shebab nel sud della Somalia.
Dal 2010, cioè ancora prima dell’alleanza con i sanguinari integralisti, i miliziani comandati da Atam hanno messo a segno omicidi mirati di personalità del Puntland, tra cui il governatore del distretto di Galgala, Ali Mohammed Gurhan, ammazzato in un agguato nel febbraio 2011.
Con questa carriera, piena di atrocità, come mai abbia cambiato campo non è chiaro. La lettera con la quale annuncia di lasciare gli Harakat al-Shebab Mujahedin e che pubblichiamo qua in fondo) rovescia insulti su Godane che non avrebbe capito nulla dell’islam (“religione compassionevole”) e che agirebbe per conto di non meglio identificate forze straniere.
In realtà la defezione di Atam non vuol dire con certezza che le montagne Galgala siano pacificate. Fonti somale a Nairobi hanno assicurato che un pugno di uomini ha seguito il vecchio leader, che, invece, si sarebbe dovuto arrendere al governo perché defenestrato da capo in testa. Questa dunque la vera ragione. Il suo posto è stato preso da Abdukadir Mumin, un santone tornato tempo fa in Somalia dalla Gran Bretagna dove era emigrato, ma soprattuutto il comando militare della milizia Galgala sarebbe stato preso da Yasin Kilwe, un giovane warsangeli, con gran voglia di farsi largo tra i professionisti del terrore. Insomma Atom non sarebbe più “il gran capo shebab”, come l’ha presentato il governo federale annunciando la sua defezione, ma un pesce piccolo dal grande nome.
Esistono quindi seri dubbi sulla conversione “spirituale” di Atam verso un comportamento più improntato alla pietà e alla misericordia. Certamente è possibile, ma noi che apprezziamo assai la famosa frase di Giulio Andreotti, “a pensar male di fa peccato, ma ci si azzecca”, azzardiamo anche un’altra motivazione.
Atam è darod warsangeli, il Puntland è a maggioranza darod migiurtini. Non a caso quando Atam si è rifugiato in Somaliland ha trovato ospitalità proprio dai warsangeli (anche se, ripeto, la notizia è stata ufficialmente smentita dalle autorità di Hargeisa). Le prospezioni minerarie, satellitari e in loco, effettuate sulle montagne del Galgala, parlano di ricchi giacimenti di materie prime, petrolio compreso. Come sfruttarli con la guerra, le banda armate e gli shebab? Passando dalla parte del governo e garantendo pace e stabilità. Forse “garantendo” è una parola un po’ grossa (proprio per la presenza di Abdukadir Mumin), diciamo meglio “provando a garantire”.
Le compagnie petrolifere sono già in pole position e ora cominciano le grandi manovre per accaparrarsi le concessioni di sfruttamento dei giacimenti. Se si riuscirà ad avere informazioni sull’andamento degli affari, si potrà capire se la tesi avanzata pocanzi è plausibile o meno.
Nel frattempo ci si deve accontentare di tessere disordinate di un mosaico non semplice da comporre. Il ministro dell’Informazione della Somalia, Mustaf Dhuhulow, parlando ai cronisti durante una conferenza stampa a Mogadiscio, ha mostrato una gran dose di soddisfazione per la resa di Atam, e a nome del presidente del governo federale, Hassan Sheik Mohamud, e del primo ministro, Abdiweli Sheik Ahmed, ha espresso “la speranza che altri fondamentalisti si ravvedano”.
Anche le autorità del Puntland e il suo presidente Abdiweli Mohamed Ali (nella foto qui accanto) si sono congratulate, ma con una punta di irritazione. Infatti dopo i saluti e le congratulazioni di rito hanno in qualche modo ricordato che il signore in questione non è proprio un santarellino e che prima o poi qualcuno gli chiederà conto delle sue malefatte.
Perché Atam si è arreso al governo federale e non a quello del Puntland è abbastanza chiaro: vuole avere un ruolo nella regione autonoma (la sua) dominata dai migiurtini; lui è warangeli e solo con l’aiuto dei federali può avere un peso. Le cabile nell’ex colonia italiana giocano un ruolo decisivo che neanche il fondamentalismo è riuscito a scardinare: la lealtà verso il proprio clan, in Somalia è molto più forte di quella verso l’islam.
Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi
Questa la lettera con cui lo sceicco Mohamed Said Mohamed Atam, ha annunciato la fine del suo idillio con gli shebab
Mi chiamo Sheikh Mohamed Said Mohamed Atam e ho un’importante comunicazione per il popolo della Somalia. Ho tollerato a lungo gli errori e gli eccessi di Ahmed Abdi Godane e del suo gruppo contro la sharia la legge dell’Islam e dei musulmani. Ho deciso adesso di lasciare l’ Harakat al-Shebab Mujahedin per molte ragioni Ecco le più importanti.
Ai giovani shebab era stato detto di combattere per il rafforzamento della sharia, ma Godane e le sue milizie non rispettano la legge coranica e non vogliono essere giudicati per questo.
Uccidono deliberatamente i musulmani somali, nei mercati, nelle moschee e per la strada. Uccidono religiosi musulmani ed esponenti di spicco della società che non sono d’accordo con loro. Uccidono persino la gente che sta pregando nelle moschee.
La jihad, la guerra santa, è qualcosa che viene chiesta ai musulmani uniti. Godane ritiene invece che la jihad sia qualcosa che appartiene a lui soltanto e in virtù di questo assioma ordina di uccidere, mutilare, sequestrare e umiliare in nome della religione, costringendo gli altri a fuggire.
I suoi uomini non hanno alcun riguardo per la gente in difficoltà, gli sfollati che fanno morire di fame impedendogli di accedere al cibo e alla generosa assistenza offerta da musulmani e non musulmani.
Vorrei inoltre dire a coloro che militano negli shebab, che abbandonando la loro dottrina non si commette peccato di apostasia. Coloro che criticano le loro azioni e le loro tattiche non è vero che siano contro la sharia e contro la religione. L’Islam è una religione compassionevole. La compassione verso tutti.
I musulmani possono avere diverse opinioni, ma Allah, misericordiosamente, chiede loro di ispirarsi al Corano e risolvere le loro differenze senza violenza. Godane e le sue milizie non vogliono. Per questo credo che stiano difendendo interessi stranieri.
In conclusione, vorrei comunicare che a partire da oggi ho scelto di continuare la mia missione religiosa e politica ricorrendo a mezzi pacifici e di comprensione, rifiutando la violenza e la forza. Ho già definito alcune questioni con le autorità federali, che ringrazio per avermi accolto con cordialità”.
Sheikh Mohamed Said Mohamed Atam