Cornelia I. Toelgyes
6 maggio 2014
Mentre Meriam Yahya Ibrahim marcisce ancora in una putrida cella con la sua bimba Maya di appena dieci giorni, un certo al-Samani al-Hadi Mohamed Abdullah, dichiara ai microfoni della CNN da un centro islamico ad Omdurman, di essere uno dei suoi tre fratelli e che il vero nome della donna accusata di apostasia sarebbe “Abrar al Hadi”. “Deve pentirsi, oppure morire”, aggiunge severo e convinto.
Meriam era stata condannata per apostasia alla pena capitale, da eseguirsi per impiccagione, e per adulterio a cento frustate. La sentenza è stata pronunciata da un tribunale islamico in Sudan, dove, essendo la maggioranza della popolazione islamica, è in vigore la Sharia dagli anni Ottanta. Qualche giorno fa il vice-ministro agli esteri sudanese Abdullah Alzareg aveva dichiarato alla BBC che il suo Paese garantisce la libertà di religione e ha aggiunto: “Proteggeremo la ragazza. Presto sarà libera”.
Ora si fa avanti il “fratello”, negando la versione della giovane donna e per rendere credibile la sua storia, si perde in mille dettagli, elenca date e quant’altro. Racconta che la sorella ha iniziato le elementari nel 1992, per poi proseguire gli studi superiori, l’università. Ricorda persino il voto di un esame particolarmente difficile. Dice che lui, sua madre e i suoi fratelli sarebbero stati presenti all’esame di laurea – purtroppo andato male – a Khartoum. Quando conobbe Daniel e sua sorella, capì che “qualcosa non andava”. In tono grave sentenzia: “Il prete (così chiama il cognato, ndr) ha dato delle pozioni alla ragazza per convertirla al cristianesimo”.
La versione di Daniel Wani e di sua moglie è completamente diversa da quella del “fratello”. Wani conferma: “Mia moglie è da sempre una cristiana convinta. Ha frequentato regolarmente la chiesa. Inoltre non ho mai incontrato quell’uomo che afferma di essere mio cognato prima delle udienze in tribunale.”
Ci sono voluti ben sette mesi per raccogliere documenti, identificare le sue impronte digitali, che risultano essere di Meriam o Abrar. Anche la carta d’identità rilasciata dal governo sudanese è a nome di Abrar, ma la Corte ha accettato tutti documenti , anche se la donna insiste nell’affermare di essere Meriam.
Ora Meriam spera di essere creduta dalla Corte. Malgrado le frequenti visite di studenti religiosi, funzionari del governo sudanese la spingono a rinnegare la sua religione cristiana..
“Lei è una in due. Se rinnega il cristianesimo, ritorna ad essere un membro della famiglia. Deve toglierci da quel terribile imbarazzo, che è un’onta per tutti noi. In caso contrario deve morire”. Queste sono le parole del “fratello”.
Ecco, questa è la storia di una famiglia. Una storia sulla quale sono ora puntati gli occhi di tutto il mondo. Eppure Meriam non demorde, non sembra avere intenzione di rinnegare la sua religione.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
twitter: @cotoelgyes
#SaveMeriam
Nell’ultima foto il fratello di Mariam
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