Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 18 maggio 2014
Il presidente del parlamento sudanese al-Fatih Izz Al-Din (tra l’altro eletto nell’incarico da poco) ha minimizzato la condanna a morte di Meriam Yahya Ibrahim Ishag, la ragazza che ha sposato un sud sudanese cristiano. “La sentenza può essere appellata davanti alla corte suprema – ha sdrammatizzato Izz Al-Din durante un talk show trasmesso dall’emittente governativa Radio Ondurman – e il Sudan è deciso a fare rispettare la propria costituzione che prevede il diritto alla libertà di religione”.
E anche se altre autorità hanno preso le distanze dalla sentenza, non appare così scontato che Merian – che si è laureata in medicina all’università di Khartoum – possa essere assolta dalla grave accusa di apostasia. La giovane donna è all’ottavo mese di gravidanza e, attualmente, è tenuta in carcere assieme al suo figlioletto di 20 mesi.
Il giudice Abbas Mohamed Al-Khalifa l’aveva condannata a morte lunedì scorso, ma – clemenza della corte! 😉 – le aveva dato tre giorni per ravvedersi, cioè per tornare all’islam. Ma giovedì la giovane mamma aveva ribadito in tribunale con estrema chiarezza e con grande calma: “Io non sono mai stata musulmana. Sono cristiana. E quindi non potete accusarmi di apostasia, di avere cioè cambiato religione”. Al-Kalifa ha confermato la sentenza, cambiando solo le modalità dell’esecuzione: per impiccagione e non frustate.
Tra l’altro la condanna è stata inflitta non in base a testimonianze che confermavano la conversione al cristianesimo, ma in base al fatto che il nome della donna, meglio il patronimico, Ibrahim, è musulmano e quindi lei deve essere considerata di fede islamica.
Un’altra delle cose che sconcerta nella vicenda è che a denunciare Meriam sia stato suo dei suoi fratelli, osservante musulmano. Per altro suo marito, Daniel Wani, è nato in Sud Sudan ma è naturalizzato americano. Questo forse il motivo per cui il Dipartimento di Stato americano ha rilasciato un duro comunicato in cui chiede al governo sudanese di ribaltare la sentenza di morte, nel nome della giustizia e dei diritti umani.
Comunque il caso sta provocando uno sconquasso anche all’interno della società sudanese e sta mettendo in imbarazzo il governo. I conservatori vorrebbero mandare al patibolo tutti gli infedeli e in non ortodossi, i liberali invece sostengono che non si devono negare i diritti fondamentali delle persone.
Tra questi ultimi si è arruolato Hasssan Al Turabi, uno dei più importanti leader religiosi del mondo islamico. Turabi ha sostenuto che una donna musulmana può sposare senza nessuna condanna un cristiano o un musulmano, facendo parte entrambi “della gente delle Scritture”. Il teologo è stato a lungo sostenitore della linea fondamentalista e negli anni ’90 aveva ospitato in Sudan Osama Bin Landen. Si diceva anche che una delle sue tre figlie avesse sposato un figlio dello sceicco del terrore, notizia infondata e da lui stesso smentita in un intervista che mi rilasciò a casa sua, a Khartoum.
Da alcuni anni, Turabi, che ha studiato a Londra e ha preso un PhD alla Sorbona, ha cambiato le sue posizioni e sposato tesi sempre più liberali, dai diritti delle donne al loro ruolo nella società, che non deve essere considerato assolutamente secondario, anche nei posti di comando (da assegnare non in base al sesso ma in base alla competenza).
Artefice dell’evoluzione del suo pensiero, probabilmente, la figlia Omama Al Turabi, che ha studiato in Svizzera, in Inghilterra e in Italia, e sua moglie Wisal Al-Mahdi, donna colta progressista ed energica, sorella si Sadiq Al Mahdi, il Primo Ministro defenetrato dal colpo di Stato del 30 giugno 1989 dell’attuale presidente Omar Al-Bashir.
Massimo A. Alberizzi
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Nella foto in alto Meriam il giorno del suo matrimonio e in basso Al Turabi intervistato da Alberizzi