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Condannata a morte giovane sudanese: ha sposato un cristiano

Massimo A. Alberizzi
14 maggio 2014
E’ stata condannata ad essere frustata fino alla morte una giovane sudanese di 27 anni, madre di un bambino di otto mesi, per essersi innamorata di un cristiano, averlo sposato e aver abbracciato la sua fede.  Meriam Yahya Ibrahim Ishag lunedì è stata condannata per apostasia e per adulterio, ma i giudici le avevano concesso tre giorni per pentirsi e tornare in moschea. Stamattina la ragazza ha annunciato di non aver cambiato religione. Dunque, la corte ha deciso: “Sia applicata la pena capitale”.

Secondo Amnesty International, che si sta occupando del caso, Meriam, originaria di Ghedaref nel Sudan centro-orientale ai confini con l’Etiopia, è stata arrestata lo scorso agosto, dopo che un membro della famiglia l’aveva denunciata alla polizia per adulterio, avendo la donna sposato un sud sudanese cristiano. Ora è in carcere con il suo figlioletto; inoltre è incinta di otto mesi.

La legge coranica applicata in Sudan non permette alle donne musulmane di sposare un uomo di diversa religione, altrimenti si commette adulterio. La corte ha poi aggiunto la condanna per apostasia quando la stessa ragazza ha sostenuto di non essere musulmana ma cristiana.

Il padre di Miriam è musulmano, la madre è etiope cristiana ortodossa. Il padre – così lei stessa ha raccontato durante il processo – se n’è andato di casa quando lei era piccola e così a crescerla è stata la madre. Quindi non è mai stata seguace dell’islam.  Il particolare non è stato tenuto in considerazione dai giudici, che hanno insistito con la disumana sentenza.

I giudici comunque stamattina hanno controllato se la giovane donna avesse rispettato l’ultimatum. Alla sua affermazione, “No”, hanno deciso di procedere. La manderanno al patibolo e sarà frustata a morte.

Il caso è venuto a galla perché se ne sta occupando Amnesty International, secondo cui è la prima volta che in Sudan accade qualcosa del genere.  Anche altre organizzazioni di difesa dei diritti umani hanno preso posizione a favore della ragazza e inviato appelli al governo sudanese perché rispetti la libertà di scegliere la religione che si vuole. Il gruppo di giovani “Sudan Change Now Movement” è stato molto critico con le autorità e ha descritto la sentenza come “vergognosa”: “Il caso mostra una palese interferenza nella vita personale dei cittadini sudanesi”.

Hanno reagito anche le ambasciate dell’Unione Europea e richiamato il governo sudanese al rispetto delle convenzioni sui diritti dell’uomo: “Il diritto alla libertà di religione fa parte di norme universali. Deve essere protetto ovunque e da tutti. E’ incluso degli statuti delle Nazioni Unte e dell’Unione Africana e il Sudan si è impegnato a rispettarlo”.

Alcune ambasciate occidentali – Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna e Olanda – hanno diffuso un documento comune in cui chiedono al governo sudanese di “rispettare il diritto alla libertà di religione, compreso quello di cambiare la propria fede o il proprio credo”. E poi: “Il caso di Meriam va trattato con giustizia e compassione e con i valori che sono propri dei Sudan e del suo popolo”.

Ma il governo di Khartoum sembra sordo. Parlando con l’agenzia di stampa France Presse, il ministro dell’informazione, Ahmed Bilal Osman , si è giustificato così: “Il divieto di cambiare religione non è in vigore sono in Sudan. In Arabia Saudita e in tutti i paesi musulmani non è consentito abbandonare l’islam”.

Il caso di Meriam mette di nuovo sotto accusa il sistema giudiziario sudanese, già bersaglio di forti critiche anche recenti quando i giudici hanno trattato il caso di una diciottenne etiope, stuprata da sette uomini. Invece ci punire i responsabili, i magistrati se la sono presa con la ragazza, accusata di adulterio e prostituzione.

In Sudan il governo del presidente Omar al- Bashir si trova ad affrontare una difficile crisi economica e politica dopo la secessione del Sud Sudan nel 2011, che ha tagliato parecchie delle royalties che venivano dal petrolio.

L’anno scorso sono state imposte misure di austerità che hanno provocato violente proteste di piazza, durate le quali decine di persone sono rimaste uccise e centinaia ferite.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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