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Cornelia I. Toelgyes
14 maggio 2014
La fotografa Camille Lepage aveva solo 26 anni, ed è stata brutalmente assassinata in Repubblica Centrafricana. Freelance affermata, collaborava con Agence Presse e lo studio Hans Lukas. Le sue fotografie sono state pubblicate dal New York Times, Guardian, Le Monde, Sunday Times, Washington Post, Wall Street Journal, BBC . La sua base era a Juba, nel Sud-Sudan, secondo il suo sito internet.
Anche le altre notizie che giungono dal Centrafrica sono terribili. Dissikou, un villaggio della Regione Kaga Bandoro al centro del Paese, è stato attaccato sabato 10 maggio. Tredici abitanti sono stati bruciati vivi. I loro assassini li hanno portati in una casa. Una volta sbarrate le porte, hanno appiccato il fuoco. Un uomo che ha cercato di saltare fuori da una finestra e stato crivellato di pallottole. Per le persone non c’è stato scampo. Il resto della gente è scappato disperato a Kaga-Bandoro, dove ha trovato rifugio nella cattedrale di Santa Teresa.
Dalla fine di aprile le regioni del nord e quelle centrali della ex-colonia francese hanno subito svariati attacchi. Diversi villaggi sono stati presi d’assalto da combattenti ex- Seléka. Il 28 aprile è stato attaccato anche l’ospedale gestito da Medici Senza Frontiere nella Regione di Nanga Bonguila: sono morte ventidue persone. Pochi giorni fa, sempre a Kaga-Bandoro in scontri tra ex-Séléka e anti-balaka sono state uccise altre tredici persone, tra cui due civili. Tutta la popolazione è allo stremo. Non c’è cibo, si muore di fame, chi è ancora vivo è fortemente denutrito.
Domenica 11 maggio 2014, durante una sua visita a Daha, a venti chilometri dal confine con la Repubblica Centrafricana, il presidente del Ciad, Idriss Deby, ha annunciato che i mille chilometri di frontiera che separano i due paesi sono stati chiusi. “Ho dovuto prendere queste misure – ha dichiarato Deby – per le incessanti violenze. Il confine potrà essere superato solamente da cittadini del Ciad che desiderano tornare a casa. Poche settimane fa le truppe del Ciad, che facevano parte di MISCA (truppe dell’Unione Africana presenti in Centrafrica) sono state costrette a tornare a casa, perché accusate di aver favorito i musulmani di ex-Séléka.
Con la chiusura della frontiera, il presidente del Ciad preclude una via di fuga ai cittadini del CAR. In altre parole, toglie loro la possibilità di salvarsi la vita. In passato, molti avevano cercato rifugio nel Paese, nei campi profughi, dove spesso giungevano dopo aver camminato per mesi, in condizioni psico-fisiche disastrose: denutriti, ammalati, con ferite da arma da fuoco.
Intanto l’8 maggio è giunta a Bangui, capitale del CAR, la missione della Corte Penale Internazionale (CPI) per un’inchiesta preliminare per i crimini commessi nel Paese dal 2012, vale a dire dall’inizio della crisi. Coinvolti gli ex-Seleka (per lo più di religione musulmana) e gli anti-balaka (cristiani ed animisti). Entrambe le fazioni sono responsabili di violenze indescrivibili alla popolazione civile. Nemmeno le forze straniere (Sangaris e MISCA) sono finora riuscite a bloccare massacri, saccheggi, stupri.
I cittadini, quando non possono più fare affidamento in chi li governa, perché lo Stato non è in grado di proteggerli, spesso si trovano di fronte ad una scelta terribile: o morire o fuggire. Dunque è evidente che il rifugiato non sceglie, il più delle volte non ha altra scelta, specie quando il rapporto di fiducia tra cittadino e governo viene a mancare.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
twitter @cotoelgyes
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