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Zambesi: “Fate silenzio il coccodrillo è depresso e poi non mangia”

Nostro Servizio Particolare
Paola Rolletta
Maputo, 8 maggio 2014
La diga di Cahora-Bassa, lungo il fiume Zambesi, in Mozambico, non è solo sinonimo di energia elettrica. L’enorme diga, con i suoi cinque potenti generatori, ha creato a monte un lago di sbarramento gigantesco, dove stanno nascendo alcune attività economiche. La pesca della kapenta, la sardina di lago, ha già raggiunto livelli industriali interessanti, mentre chi pratica la pesca sportiva si diverte con i tigerfish, che danno un bel da fare.

Sulle coste sono spuntati alcuni resort turistici, di imprenditori del Sud Africa, dello Zimbabwe e qualche mozambicano. Più recente, e con risultati molto interessanti, dal punto di vista economico, c’è l’allevamento di coccodrilli, la cui pelle è venduta a caro prezzo sui mercati internazionali. Attualmente ci sono  tre allevamenti di coccodrilli lungo il lago artificiale, largo 30 e lungo 240 chilometri.

La barca è l’unico mezzo per arrivarci. Le acque sono quasi sempre tranquille. Il nostro skipper si chiama Mateus Lourenço. Ha una barca a motore di 115 cavalli, piuttosto vecchiotta, senza l’ombra di strumenti funzionanti né giubbotti salvavita. Non c’è neanche il segnalatore della benzina, pertanto Mateus, ogni tanto, deve spegnere il motore e caricare il carburante. Fa tutto a occhio, così come a occhio naviga il fiume Zambesi che conosce in lungo e largo.

Ha fatto la nona classe (la seconda superiore). Suo padre è morto, sua madre è disoccupata e lui, figlio maggiore, ha dovuto rimboccarsi le maniche e aiutare in casa. Ha due fratelli più piccoli. Lo stipendio mensile è scarso, circa 60 euro. Lavora 26 giorni di seguito e, dopo, ha diritto a quattro di riposo. Con i datori di lavoro parla inglese, mentre con gli amici e i familiari l’idioma materno nyanja. Il portoghese, lingua ufficiale in Mozambico, è la sua terza lingua.

È abituato a trasportare turisti lungo il fiume. Conosce tutto: isole, correnti, pesci e pescatori. Lungo il percorso abbiamo incontrato dei pescatori con le canoe, che qua chiamano almadia. Scavate in un tronco d’albero, si governano con un solo remo. Sulle rive, le persone fanno cenni con la mano, ma non per salutarci. Piuttosto chiedono un passaggio per passare dall’altra sponda. Non ci sono ponti da queste parti.

Ci vuole oltre un’ora per arrivare all’allevamento di coccodrilli più vicino. E là incontriamo Wonder Chuma, 29 anni, che di professione fa il guardiano di coccodrilli. È zimbabwiano, è entrato in Mozambico clandestinamente alla ricerca di lavoro perché nel paese vicino la situazione economica è disastrosa. Dopo qualche settimana ha ottenuto il visto di lavoro e ora è contento.

Non ha nessun problema ad allevare coccodrilli che “saranno borse, cinture e belle scarpe”, come ci spiega. Al contrario, afferma con orgoglio e come uno che la sa lunga della vita “una buona cintura di coccodrillo è per tutta la vita e la puoi lasciare in eredità ai tuoi nipoti…”

Wonder lavora da nove anni con i rettili. Ha imparato in Zimbabwe dove c’è una lunga tradizione nell’allevamento del niloticus, 5 metri di lunghezza e 250 chili di peso. Qui è guardiano di 18.000 coccodrilli, 15.000 piccoli e 3.000 di 18 mesi, già pronti per la vendita, in Sud Africa, dove saranno nutriti per un po’ e dopo andranno direttamente verso le concerie: Singapore, Italia, Francia, Giappone…

Geniando Salukani di anni ne ha 24 e di mestiere fa il raccoglitore di uova di coccodrillo. Guadagna circa 60 euro al mese. Lo ha portato uno zio all’allevamento, perché cercava un posto  e non trovava nulla. Vive con gli altri lavoratori, nelle tende montate lì vicino. Alla fine di ottobre, prima della stagione delle piogge, armato di una lancia e poco più, avanza con i suoi colleghi in canoa verso le spiaggette dove sanno che le femmine depositano le uova. E per due o tre giorni, ci sono solo loro e i coccodrilli.

Un coccodrillo femmina deposita circa 80/90 uova, una volta l’anno, una media di uno al minuto. “I coccodrilli sono come le galline – racconta – ma ci vuole molta prudenza per prendere le loro uova”. Finito il lavoro, con le uova nelle ceste, tornano all’allevamento e Wonder le metterà nell’incubatrice.

Per ogni uovo, si devono pagare 1,5 meticais (0,4 centesimi di euro) alla Direzione Provinciale di Agricoltura. Ossia, un uovo costa meno di una fotocopia, a Maputo, la capitale.

Geniando, il raccoglitore di uova, ha studiato fino alla ottava classe (terza media) e parla portoghese con parecchia difficoltà. Era già abituato ai coccodrilli, perché nella sua zona ce ne sono parecchi e diventano spesso una minaccia per la popolazione. Ogni tanto si leggono sui giornali articoli che parlano del conflitto uomo-animale e delle statistiche di persone uccise dai coccodrilli.

Nell’allevamento i rettili vivono in vasche di cemento, con muri alti circa un metro. Ci possono vivere fino a 100 esemplari. Un sistema di riscaldamento mantiene costante a 32 gradi la temperatura dell’acqua. “È importante soprattutto d’inverno, quando il sole è timido e i coccodrilli possono soffrire di depressione…”, spiega Wonder.

Nonostante il lavoro di guardiano di coccodrilli, Wonder ha solo una cintura di pelle di coccodrillo. Confessa che gli piacerebbe avere anche un paio di scarpe, “ma il mio stipendio non me lo permette. Sono troppo care…”

Wonder comincia a lavorare alle 7 di mattina: fa il bagnetto ai coccodrilli, con un detergente liquido “come quello per lavare i piatti”, per evitare batteri e infezioni. Dopo è l’ora della pappa, fatta di kapenta e una razione di carne macinata, con un’aggiunta di vitamine del complesso B.

È Wonder che controlla il ritmo di crescita e quando vede che non è normale fa iniezioni di antibiotici e vitamine. Gli animali in cura si riconoscono perché gli viene dipinto un puntino rosso in mezzo gli occhi, come quello che le indiane usano portare in fronte.

“Quando mangiano nessuno si deve avvicinare, perché qualsiasi rumore provoca stress e loro si fermano – spiega Wonder -. Dobbiamo andar via e lasciarli in pace. Torniamo di pomeriggio per controllare se hanno avanzato qualcosa. Aggiungiamo dell’acqua ai resti e un altro po’ di cibo, se hanno voglia di mangiucchiare qualcosa di notte. Con il silenzio si godono meglio il pasto”, assicura Wonder.

Lui è sinceramente preoccupato per la salute psicofisica degli animali e non permette nessun rumore intorno ai suoi protetti. “Sono sensibili come le persone. Ma per lo meno quando le persone si sentono un po’ giù, c’è sempre qualcuno che le consola. Invece i coccodrilli no, non hanno nessuno!”.

Quando torniamo indietro, ci sono ancora alcune persone sulla riva del fiume, che aspettano un passaggio. L’ultimo possibile del giorno. Dopo arriva il buio e lungo il fiume ci rimangono solo i coccodrilli.

Paola Rolletta
rpaola@gmail.com

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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