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Bianca Saini
Juba, 26 aprile 2014
Il quinto mese del conflitto sud-sudanese (scoppiato il 15 dicembre 2013) si è aperto con una controffensiva delle forze fedeli a Riek Machar (SPLM/A-IO, cioè In Opposizione, a ribadire che il conflitto è politico e non una ribellione su basi etniche, come spesso viene definito).
POZZI PETROLIFERI
Hanno poi preso controllo dei campi petroliferi e hanno chiesto ai tecnici stranieri di mettere in sicurezza i pozzi e di andarsene al più presto, per evitare di essere presi tra due fuochi. L’avanzata intanto continua sia nello stato di Jonglei, in cui l’obbiettivo dichiarato è la riconquista della capitale, Bor, sia nell’Upper Nile, dove mercoledì 23 aprile sarebbe caduta nelle mani delle forze di opposizione Renk, all’estremo nord, al confine con il Sudan. L’intento sarebbe quello di tagliare tutte le vie di rifornimento all’esercito governativo, asserragliato nella capitale, Malakal, e conquistare l’ultimo importante campo petrolifero sud-sudanese ancora produttivo, quello di Paloich.
Per questo il presidente Kiir ha chiesto l’aiuto ugandese (che ha pagato profumatamente; anche questa dichiarazione è stata fatta ufficialmente davanti al parlamento) per contenere la ribellione in Jonglei e nell’Upper Nile mentre per Unity ha barattato l’intervento dei ribelli sudanesi, e in particolare del JEM (Justice and Equality Movement, il principale movimento armato darfuriano) con la possibilità di mantenere le loro basi in Sud Sudan, nonostante i recenti accordi con Khartoum sulla sicurezza lungo il confine, che ne prevedevano la chiusura.
SALARI IN RITARDO
La presa di Bentiu sarebbe stata inoltre facilitata dal ritiro di parte del contingente governativo, una milizia locale, non molti mesi fa in ribellione, guidata dal generale Puljang Mathews, recentemente inglobata nell’esercito, dopo che aveva accettato un’amnistia governativa. Il suo portavoce ha dichiarato che i suoi uomini non potevano combattere, non avendo ricevuto rifornimenti da Juba.
SILURATO IL CAPO DELL’ESERCITO
La conferma di problemi nel SPLA è arrivata il 24 aprile, quando il presidente ha sollevato dall’incarico il comandante di Stato Maggiore, generale James Hoth Mai, e il capo dell’intelligence militare, generale maggiore Mac Paul Kuol. I due sono stati sostituiti da fedelissimi del presidente, il governatore del Northern Bahr El Ghazal, il dinka Paul Malong Awan, come nuovo comandante in capo, e il generale della polizia, Marial Nuor Jok, come nuovo capo dell’intelligenze militare.
RICOSTRUIRE SU BASE FEDERALE
La controffensiva militare è stata accompagnata dal lancio ufficiale della nuova forza di opposizione, finora attivatasi solo sotto la spinta degli avvenimenti del 15 dicembre scorso. Secondo notizie pubblicate dal Sudan Tribune, tra il 15 e il 18 di aprile, nella roccaforte dell’opposizione, Nasir, nell’Upper Nile, si è svolta una conferenza consultiva cui hanno partecipato rappresentanti di altri partiti politici e di ogni settore della società (leader tradizionali e religiosi, rappresentanti di donne e giovani, di organizzazioni della società civile).
IL MASSACRO DI BENTIU
La nuova compagine politica, che si definisce “SPLM/SPLA resistenza armata” si presenta sulla scena internazionale con la macchia dell’eccidio di civili che ha segnato la riconquista di Bentiu. Il numero delle persone trucidate a sangue freddo è ancora incerto, ma le stime sono di parecchie centinaia.
I racconti dei testimoni sopravvissuti alla strage raccontano che le vittime venivano individuate in base all’appartenenza etnica o nazionale; i dinka e i sudanesi erano particolarmente presi di mira. Si può ben dire, dunque, che si sia trun eccidio su base etnica.
RITORSIONE
Si tratterebbe di una ritorsione per il decisivo appoggio dei gruppi ribelli darfuriani, e del JEM (Justice and Equality Movement) in particolare, nella ripresa di controllo della città, nello scorso gennaio, a fianco delle truppe governative.
ASSALTO A BOR
Il giorno dopo la presa di Bentiu un altro fatto gravissimo si è verificato a Bor, capitale di Jonglei, dove una sessantina di civili sono rimasti uccisi e molti altri feriti nell’assalto di giovani armati, parecchi in divisa militare, alla base della missione di pace – UNMISS – che da mesi ospita migliaia di Nuer che vi hanno cercato rifugio per sfuggire alla violenza delle truppe governative. L’azione sarebbe stata scatenata dall’esultanza dei rifugiati per la ripresa del controllo di Bentiu da parte delle forze di opposizione.
APPELLI NEL VUOTO
Così come sono caduti nel vuoto gli appelli a rispettare la tregua firmata il 23 gennaio scorso attorno al tavolo negoziale aperto ad Addis Abeba e che, da allora, non ha fatto passi in avanti verso una soluzione politica del conflitto.
Al momento della liberazione, Pagan Amun ha dichiarato, che lui e i suoi compagni avrebbero dedicato il loro tempo a lavorare duramente per trovare una soluzione che possa riportare la pace in Sud Sudan, mettendo fine ad una guerra senza senso che uccide i sud sudanesi nel loro stesso paese.
Bianca Saini
biancasaini2000@gmail.com
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