Israele, un inferno per i profughi africani Come cadere dalla padella nella brace

Nostro Servizio Particolare
Cornelia I. Toelgyes
24 aprile 2014

Per disfarsi dei profughi,  che considera infiltrati, il governo israeliano ha studiato un piano a dir poco diabolico:  ad ogni Paese africano disposto ad accogliere rifugiati offre ottomila dollari in contanti per ciascuno ed un pacchetto commerciale che comprende addestramento in campo agricolo, alta tecnologia e armi. Non è stato reso noto ne il prezzo, ne quantità e qualità di tale merce.

Le armi israeliane di seconda mano fanno gola a tanti, forse per questo sono state aggiunte nella proposta. Si sa; molti Stati africani sono interessati al loro acquisto, anche se il loro prezzo è elevato. Avere arsenali potenti è più importante che avere granai pieni, dare cibo alla propria gente.

CINQUANTAMILA PROFUGHI

In questo momento in Israele si trovano più o meno cinquantamila profughi, tutti provenienti dall’Africa sub-sahariana, prevalentemente dal Sudan e dall’Eritrea. Da mesi questi giovani protestano nelle piazze e nelle strade di Tel Aviv affinché vengano riconosciuti i loro diritti. Molti attivisti e difensori dei diritti umani israeliani sono al loro fianco. Il governo è sordo, non sente ragioni e persiste nella sua politica di chiusura verso i giovani africani, considerandoli infiltrati. Le loro richieste d’asilo non vengono nemmeno prese in considerazione.

Molti di loro sono stati arrestati; milleottocento si trovano nella prigione “aperta” di Holot, dove ci resteranno per un tempo indeterminato, a meno che non firmino di voler lasciare Israele volontariamente il Paese (regola confermata da una sentenza dall’Alta Corte di Israele i primi di aprile 2014). A nulla sono valse le proteste delle varie organizzazioni che difendono i diritti umani e dell’UNHCR, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i profughi.

RAZZISMO IN AGGUATO

Atti di razzismo verso i migranti africani sono all’ordine del giorno. Le prime serie e preoccupanti avvisaglie risalgono all’estate del 2012, quando giovani dell’estrema destra hanno incendiato negozi e automobili di profughi. A seguire, manifestazioni nelle quali, specialmente le donne, dichiaravano di avere paura e di non gradire la presenza dei giovani africani nel Paese.

Un giovane sudsudanese racconta di essere arrivato in Israele giovanissimo. Aveva solo diciassette anni. Era scappato appena quattordicenne e si era rifugiato a Khartoum, la capitale del Sudan. Non era vita per un ragazzino. Lo hanno aiutato a fuggire in Egitto. Anche lì le persecuzioni non mancavano. Infine è approdato in Israele, dove è stato arrestato e messo nella prigione di Saharonim nel deserto di Negev per un anno, senza nessuna accusa.

RACCOGLIERE POMODORINI

Una volta maggiorenne ha ottenuto una pena alternativa nel villaggio di Ein Yahav, dove doveva raccogliere pomodorini dall’alba al tramonto per pochi soldi. Finalmente riesce ad arrivare a Tel Aviv. Si mette in proprio con alcuni amici, ma ha sempre la polizia e ufficiali dell’immigrazione che lo controllano e che per un motivo o l’altro gli rendono la vita difficile. Non appena viene a sapere che il Sud-Sudan è stato dichiarato indipendente, decide di ritornare a casa, di partecipare alla costruzione del (suo) nuovo paese. Si mette in affari che lo portano a viaggiare molto, è contento, sta bene fino a metà dicembre del 2013. Una notte viene svegliato da spari.

La mattina seguente, quando esce di casa, trova  sei corpicini senza vita davanti a casa sua. Erano i figli del suo vicino. Decide di scappare nuovamente e va in Eritrea. Ultimamente i suoi affari lo hanno portato in Israele. Per strada è stato aggredito senza motivo. Un motociclista si è persino tolto il casco e gli ha sputato in pieno viso. Un suo amico israeliano è stato insultato perché era in sua compagnia .

E’ questa l’aria di razzismo che si respira ora qui in Israele e il governo non vede l’ora di disfarsi dei profughi.  Già l’anno corso alcuni di loro sono stati “invitati” a firmare una partenza volontaria verso l’Uganda. Si è saputo che uno di loro è stato rimpatriato con la forza in Eritrea. Aveva chiesto aiuto a varie organizzazioni per i diritti umani che hanno cercato di intercedere per lui presso il governo egiziano mentre si trovavo in transito all’aeroporto del Cairo. Una volta giunto ad Asmara, la capitale dell’ex colonia italiana, non si è più saputo nulla di lui. Sparito nel…..nulla.

Francamente non si riesce a spiegare come un governo che rappresenta una popolazione oggetto di uno spietato razzismo, si comporti così con altri esseri umani, maltrattando sofferenti e perseguitati.

HOTLINE FOR MIGRANTS

All’inizio di aprile il giornale israeliano Haaretz ha segnalato come alcuni profughi siano stati “invitati” a firmare una dichiarazione nella quale esprimevano il desiderio e la ferma volontà di voler lasciare il paese per raggiungere il Ruanda. Ed ecco cosa racconta un giovane eritreo che ha voluto mantenere l’anonimato,  a Sigla Rosen, fondatrice di “Hotline for foreign workers” (ora l’associazione porta il nome di: “Hotline for migrants and refugees”) quando lo ha raggiunto telefonicamente a Kigali, capitale del Ruanda. “Israele mi ha dato solamente un documento di transito, nessun altra carta che attesti la mia identità o il mio status di profugo. Una volta arrivato qui, mi hanno dato un visto turistico per soli dieci giorni. Mi hanno accompagnato in un albergo, “offerto” per tre giorni e tre notti dal governo israeliano. Mi hanno ritirato anche il documento di transito. Come farò? Cosa sarà di me?”

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Come si è arrivati a questo? Lo raccontano Lia Tarachansky produttrice di “The real news” e Assaf Vitzan, un avvocato per rifugiati e migranti, secondo cui nel 2008 l’allora primo ministro Ehud Olmert aveva avviato negoziati con alcuni governi africani con la speranza di poter trovare alleati, pronti ad ospitare i rifugiati, non potendo chiedere un rimpatrio forzato a causa della situazione politica di alcuni paesi di provenienza (in particolare Eritrea e Sudan) dei giovani.

UNO SPORCO AFFARE

I paesi da lui contattati non aderirono, non fu firmato alcun accordo, ma durante gli anni a seguire i colloqui continuarono, ma senza esito. Nel 2012 Benjamin Netaniahu, primo ministro israliano, delega Hagai Hados, un ex-agente del Mossad a riaprire le trattative interrotte. Hados si reca in alcuni Stati africani e offre, appunto, ottomila dollari per ciascun rifugiato che il paese è disposto a ospitare e un pacchetto commerciale molto allettante.

Nell’agosto 2013 Haaretz scopre che il paese verso il quale i profughi sarebbero dovuti espatriare era l’Uganda e solo la scorsa settimana il giornale viene a conoscenza che alcuni giovani sono stati inviati anche in Ruanda. Dunque per ora Israele ha trovato due partner interessati a questo losco e sporco affare. Profughi come valuta preziosa, una delle tante valute dell’economia israeliana nel traffico di armi con l’Africa. Purtroppo nessuno ha mai potuto vedere i contratti firmati con l’Uganda e il Ruanda. E, forse, con qualche altro paese.

MERCE DI SCAMBIO

Un altro giovane eritreo, che per ovvi motivi non ha voluto che si facesse il suo nome, ha dichiarato : “Pensavamo di essere delle persone, degli esseri umani, ma una volta arrivati in Israele abbiamo capito che siamo solo merce di scambio. Ho paura, dopo tanto errare da un campo profughi all’altro, dopo tanta sofferenza, solitudine e speranza. Una volta giunto in Uganda, potrei essere rimpatriato in Eritrea, paese dal quale sono fuggito”.

E’ solo di  poche ore fa la notizia che un centinaio di rifugiati sono stati portati via dalla prigione aperta di Halat, da dove si erano allontanati per più di 48 ore senza il permesso del Ministero degli interni. Portati dove non si sa ma probabilmente per esercitare una pressione e costringere i profughi a firmare la richiesta di tornare “spontaneamente” in Sudan o in Eritrea.

Questo è quanto accade in Israele. Non so se da noi in Europa la situazione sia poi tanto diversa. I profughi sono un peso, si sa. Ci ricordano la povertà, la nostra miseria interiore; forse è arrivato il momento che il cosiddetto mondo occidentale non supporti più regimi dittatoriali che non sono altro che la continuazione del periodo colonialista.

Cornelia I. Toelgyes
Corneliacithotmail.it
twitter @cotoelgyes

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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