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Assalto al petrolio in Congo-K (1): contratti oscuri, società fantasma, trame segrete e investitori senza scrupoli

Speciale per Africa Express
Federico Franchini
Lugano, 21 aprile 2014

Se non lo sai non lo immagineresti mai. Eppure, all’interno di questa villetta a due passi da Lugano, in Svizzera, si tirano le fila dei grandi appalti petroliferi africani. La sede è quella di due società attive nel settore dell’energia e delle risorse naturali: la Medea Development SA e la Medea Consulting SA, entrambe filiali operative di due omonime lussemburghesi[1]. Nomi sconosciuti nella Confederazione ma ben noti in quella Repubblica democratica del Congo (RDC) dove, negli ultimi anni, sono stati rilevati giacimenti petroliferi potenzialmente ricchissimi.

Un eldorado che ha suscitato l’appetito delle multinazionali: i contratti che vengono negoziati valgono miliardi e le imprese sono disposte a tutto pur di accaparrarseli. Anche a lanciarsi in operazioni opache. La RDC (o Congo-K dal nome della capitale Kinshasa) è nota infatti per il grande livello di corruzione e le concessioni nel settore delle materie prime sono spesso gestite sulla base degli interessi personali della classe dirigente.

Se si vuole ottenere qualcosa, insomma, bisogna essere abili a bussare alla porta giusta. Ed è proprio ad una di queste porte che probabilmente ha bussato Giuseppe Ciccarelli, milanese, ex quadro dirigente di una società della galassia ENI[2], e rappresentante legale delle due SA del Canton Ticino.

DUE MISTERIOSE SOCIETÀ

È il 18 giugno 2010 quando il nome di Medea appare per la prima volta nelle cronache congolesi. Un decreto del presidente Joseph Kabila concede il diritto di esplorazione dei blocchi 1 e 2 sul lago Alberto a due sconosciute società registrate alle Isole Vergini: la Caprikat Ltd e la Foxwhelp Ltd. Queste due imprese, operative solo da qualche mese, non dispongono però né della tecnologia né del savoir-faire necessario per sviluppare questo genere di attività.

Si rivolgono allora a Medea Development che diventa il loro partner tecnico ufficiale mente il suo direttore assume il ruolo di portavoce di questa alleanza. Ciccarelli è molto attivo nella regione dove sta anche sviluppando un progetto di oleodotto per il trasporto del petrolio dal lago Alberto all’oceano Indiano. Inoltre, consiglia i governi di Uganda, Congo e Kenya su questioni energetiche e vanta conoscenze ad alto livello nelle élite dirigenti sudafricane.

Il contratto del lago Alberto è oscuro e controverso. L’assegnazione di questi due blocchi era già stato oggetto di un accordo precedente, stipulato in termini più vantaggiosi per lo Stato africano con altre due società, la Tullow Oil e la Divine Inspiration. In molti si chiedono come mai il Governo abbia tolto di mano ai precedenti investitori il diritto di concessione, modificando in peggio le condizioni per la RDC.

I sospetti portano a pensare che l’entourage presidenziale abbia degli interessi da difendere attribuendo queste concessioni a Caprikat e Foxwhelp. Sospetti che sono poi alimentati dalla creazione di una joint venture locale, la Oil of RDCongo. Il cui capitale azionario è detenuto all’85% dalle due società offshore e al 15% dal Governo.

La Cohydro, la società dello Stato congolese specializzata negli idrocarburi, è scartata dall’accordo quando, di norma, è lei che ha l’autorità per negoziare i contratti petroliferi sul territorio congolese.

Secondo un rapporto pubblicato nel 2012 dall’International Crisis Group, dietro questa inversione di marcia vi è una lotta di potere ai livelli più alti dello Stato. Il settore petrolifero del Congo è stato per parecchio tempo un mercato secondario in questo paese che rigurgita di altre materie prime, una volta considerate più redditizie (oro, rame, coltan, ecc.).

Da quindici anni a questa parte, però, il petrolio sta diventando un nuovo Eldorado, e la sua gestione è passata progressivamente sotto la gestione diretta dell’ufficio presidenziale, cortocircuitando così il ministero competente.

LA PISTA SVIZZERA

Ma chi si nasconde dietro Capirkat e Foxwhelp, società sconosciute ma capaci di ottenere il via libera per scandagliare un fondale petrolifero potenzialmente ricchissimo?

Alcune piste portano in Svizzera, negli uffici del noto avvocato di Ginevra Marc Bonnant. Nominato amministratore delle due società, l’avvocato elvetico concede la procura di firma a Khulubuse Zuma, nipote del presidente sudafricano Jacob Zuma, per rappresentare Caprikat. Delega poi a Michael Hulley, avvocato personale del presidente Zuma, la gestione di Foxwhelp. Come mai?

Contattato lo scorso 3 marzo, l’avvocato ci risponde laconico il giorno dopo: “Non sono più l’amministratore di Caprikat Foxwhelp. Non sono quindi in grado di fornire le informazioni da lei richieste”.

Un abbozzo di risposta lo fornisce lo stesso Ciccarelli in un’intervista rilasciata nel luglio 2010 al giornale congolese la Prosperité: “Questa impresa comune permetterà alla RDC e al Sudafrica di lavorare in stretta collaborazione per consolidare le loro industrie e economie”. Ma nell’estate 2010, gli investitori restano ancora nascosti nell’ombra. “Non è il buon momento di svelare la loro identità”, affermerà lo stesso manager italiano un mese più tardi, in un’altra intervista rilasciata alla Reuters. In quell’occasione Ciccarelli riconosce però che Khulubuse Zuma e Michael Hulley non detengono nessuna parte nelle società che amministrano, dietro la quale opererebbe in realtà un non meglio precisato “trust elvetico”.

Cerchiamo allora di capirci qualcosa. All’epoca Zuma e Hulley sono anche gli amministratori dell’Aurora Empowerment System, una società d’investimento sudafricana, attiva nelle miniere d’oro e presieduta da Zondwa Gadhafi Mandela, nipote di Nelson Mandela.

Secondo la rivista specializzata Africa Intelligence, proprio poco prima che Caprikat e Foxwhelp ottennero le concessioni in Congo, Aurora Empowerment System avrebbe beneficiato di un finanziamento di 78,8 milioni di euro da parte del fondo d’investimento Global Emerging Markets (GEM), attivo nel settore delle materie prime con partecipazioni per diversi miliardi di dollari.

Quest’ultimo è un’entità legata ad una piccola società di Ginevra, la GEM Management Sagl[3], che a sua volta gestisce e amministra le società del gruppo GEM Management Ltd, basato alle Isole Vergini britanniche. Il fondo è specializzato nell’aprire linee di credito a compagnie petrolifere che non possono ottenere prestiti dalle banche a causa della loro inesperienza o di una reputazione discutibile. Ciò che GEM avrebbe fatto appunto finanziando, tramite Aurora, le due società offshore rappresentate da Medea. Ma questa resta per ora un’ipotesi che non ha potuto essere verificata. Ad inizio 2011, Aurora Empowerment System è messa in liquidazione non potendo più svelare i suoi segreti[4].

L’opacità tipica di questo genere di operazioni, sovente mascherate da società schermo e da prestanomi, non aiuta a capire chi siano i reali beneficiari di queste concessioni petrolifere. Per Valentino Arico della Dichiarazione di Berna, ONG svizzera da anni è attiva nel monitorare il ruolo delle imprese elvetiche nel commercio mondiale di materie prime[5], l’attività della società ticinese nella RDC è emblematica del problema della trasparenza che pone l’intero settore: “In rappresentanza di società estere registrate alle Isole Vergini, Medea partecipa ad una struttura opaca che non permette di determinare chi siano i veri detentori dei diritti economici di queste attività petrolifere così come il montante dei pagamenti effettuati al governo congolese”.

Federico Franchini
f.franchini83@gmail.com
twitter @ffranchini83
(1 – Continua)

—————-

1 Contattata per e-mail, la società Medea non ha risposto alla nostra richiesta d’informazioni.

2 Ex direttore delle operazioni internazionali della SNAM, la società una volta detenuta al 50% da ENI che dispone del quasi monopolio dell’importazione in Italia di GNL

3 GEM Management Sagl ha un capitale di soli 20’000 franchi svizzeri (circa 16’500 euro). Contattata per e-mail, GEM non ha risposto alla nostra richiesta d’informazioni.

4 Aurora Empowerment System conoscerà anche dei problemi giudiziari. I lavoratori delle sue miniere d’oro di Pamodzi (circa 1’200 persone) hanno fatto causa alla società alla quale recriminano il mancato versamento dei salari (per più di un anno). I lavoratori accusarono i dirigenti di Aurora di avere fatto fallire consapevolmente la società ritirandovi dei capitali.

5  Negli ultimi anni la Confederazione svizzera è diventata una delle principali piattaforme mondiali del commercio di materie prime. Si calcola, ad esempio, che un terzo del petrolio mondiale (e tre quarti di quello proveniente dall’ex blocco sovietico) siano scambiati sulla piazza svizzera. Le più importanti società svizzere per volume d’affari sono ormai dei giganti del trading e dell’estrazione di materie prime (Glencore-Xstrata, Trafigura, Mercuria, Vitol, Gunvor, ecc.).

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maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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