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Più di cento studentesse rapite dai terroristi di Boko Haram in Nigeria

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Cornelia I. Toelgyes
16 aprile 2014
Quante sono le ragazze rapite ieri in Nigeria? C’è chi dice fossero cento, i familiari affermano che siano duecento. Probabilmente sono centoventinove,ma qualcuno dice che centoventuno sono riuscite a scappare e mettersi in salvo. E’ difficile essere precisi in momenti di confusione e disperazione. Il sequestro di più o meno centocinquanta ragazze c’è stato ed è avvenuto ieri notte, quando uomini armati della setta islamica Boko Haram sono entrati in un collegio femminile a Chibok nello Stato nordorientale del Borno. Dopo una colluttazione con le guardie, i terroristi sono entrati nei dormitori delle ragazze e se le sono portate via.

Una di loro, che insieme ad altre tredici è riuscita a fuggire, racconta a Mohammed Kabir Mohammed, reporter della BBC ad Abuja, capitale della Nigeria: “Sono entrati mentre dormivamo. Hanno ordinato ‘niente panico’. Poi ci hanno fatto uscire e salire sui camion. Il convoglio si è mosso ma dopo poco ha dovuto rallentare per un guasto ad uno dei mezzi. Con alcune mie amiche ho approfittato della confusione e sono scappata. Ci siamo nascoste nei cespugli e non ci hanno trovate”.

Alcuni residenti hanno riferito di aver sentito un’esplosione, seguita da una sparatoria e un testimone, che ha voluto mantenere l’anonimato, ha dichiarato ai giornalisti dell’agenzia France Press che i soldati di guardia nella scuola sono stati sopraffatti dai terroristi.

Il governatore dello Stato del Borno, Kashim Shettima, ha messo a disposizione la somma di cinquanta milioni di naira (la moneta nigeriana, più o meno 3 milioni e mezzo di euro) per compensare chi darà informazioni sulle ragazze. Per ore soldati, volontari, residenti e familiari hanno setacciato i boschi della zona alla ricerca delle centoventinove studentesse.

Un ufficiale della polizia ha anche confermato che uno dei camion usati per trasportare le giovani è stato trovato abbandonato, perché guasto.

Tra martedì notte e mercoledì mattina membri del gruppo Boko Haram hanno messo a segno altri due colpi, sempre nello Stato del Borno. Martedì sera i terroristi hanno preso di mira il villaggio di Sabon-Kasuwas, a 210 chiometri a sud di Maiduguri. Sono entrati nell’abitato come se niente fosse, dirigendosi verso il palazzo del capo del distretto, ammazzandolo insieme alla sua guardia del corpo.

Mercoledì mattina verso le sette, invece, uomini armati sono entrati a Wala, che dista 130 chilometri da Maidugori, uccidendo diciotto persone e ferendone parecchie altre.

Forse, finalmente, è giunto il momento che Goodluck Jonathan, il presidente della Nigeria, debba prendere una decisione seria e riflettere bene come procedere per fermare il gruppo terrorista. La prima mossa dovrebbe essere quella di colpire con decisione la corruzione endemica del Paese. Varare nuove leggi serie e draconiane. Il settanta per cento della popolazione nigeriana è povera, se non poverissima, eppure il paese è ricchissimo di petrolio. Ma i proventi finiscono nelle tasche di pochi. In Nigeria puoi avere tutto o quasi, basta allungare la mano e concedere bustarelle a destra e manca.

Boko Haram, setta islamica estremista, compare per la prima volta in Nigeria nel 2009, ma prima nell’ex colonia britannica c’erano stati altri fenomeni simili. Negli anni Settata miete successo tra le masse diseredate un predicatore, Mohammed Marwa, un hausa, meglio conosciuto come Maitatsine. Con i suoi sermoni violenti contro lo Stato, corrotto e inefficiente, infiamma la folla.

Originario di Mawra, nel nord-est del Paese, in una regione che un tempo faceva parte del Camerun, sosteneva che chi leggesse un altro libro all’infuori del Corano fosse un pagano. Durante il colonialismo era stato mandato in esilio, ma subito dopo l’indipendenza era rientrato a Kanu. Era contrario alle biciclette, agli orologi, alle automobili e sosteneva che era peccato possedere più denaro del necessario per vivere.

Durante le sue prediche attaccava tutti: autorità civili e islamiche. Erano attratti dalle sue teorie e dalla sua ideologia soprattutto i giovani. Man mano che cresceva il numero dei suoi seguaci, aumentavano anche i confronti con la polizia. La polizia e l’esercito, era il 1980, intervennero per sedare alcune dimostrazioni violente.  La repressione costò la vita a cinquemila persone. Fu ucciso anche Maitatsine.

Dopo la sua morte, ci furono altri sporadici tumulti nei primi anni Ottanta. In particolare i militanti di Yan Tatsine nel 1982 insorsero a Bukumkutta, vicino a Maiduguri, e a Kanu, dove molti adepti si erano trasferiti dopo la morte del leader. Intervennero le forze dell’ordine che uccisero più di tremila persone. Allora molti membri sopravvissuti si spostarono a Yola, dove, guidati da Musa Makanik, un discepolo del maestro, nel 1984 organizzarono svariati attacchi violenti.

Negli ultimi scontri ci furono un migliaio di morti e metà dei sessantamila abitanti di Yola persero la loro casa. Makanik scappò prima a Gombe, la sua città natale, dove fino al 1985 si susseguirono sanguinosi attacchi mortali, e poi in Camerun dove rimase per molti anni. Nel 2004 fu arrestato in Nigeria.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
twitter @cotoelgyes

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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