Nostro Servizio Particolare
Cornelia I. Toelgyes
15 aprile 2014
Sì, era nell’aria da giorni. I profughi eritrei detenuti in un penitenziario di Gibuti sono stati liberati. Erano commossi e piangevano. Aspettavano di uscire da quell’inferno da anni: alcuni addirittura da sei anni.
Per prima cosa hanno mandato le fotografie ad Africa ExPress. Abbiamo cercato di portare all’attenzione delle autorità la loro situazione drammatica. E ci siamo riusciti. Qualcuno ci ha anche accusato di avere inventato tutta la storia. Questa volta la collaborazione di tutti ha portato buoni frutti. Insieme si può.
Elsa Chyrum, attivista per i diritti umani e presidente di Human Rights concern Eritrea lo aveva annunciato. All’inizio di questo mese Elsa aveva fatto uno sciopero della fame di tre giorni a Ginevra davanti alla missione di Gibuti presso l’ONU. Con il suo gesto ha attirato l’attenzione delle istituzioni internazionali, anche se negli ultimi mesi si era già parlato molto dei rifugiati eritrei detenuti nell’ex colonia francese.
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L’altro giorno la dichiarazione del governo di Gibuti: siete liberi, vi affidiamo all’UNHCR e questa mattina, finalmente, il sospirato trasferimento in pullman per oltre 260 eritrei dal centro di detenzione Negad verso il campo per rifugiati All Ahdee sempre nella piccola repubblica alle porte del Mar Rosso.
C’è ancora però qualche problema. Alcuni dei rifugiati tenuti a Negad sono esponenti politici dell’opposizione alla sanguinaria dittatura eritrea. Temono senza protezione di essere assassinati dai sicari del regime. Hanno così preferito restare a Negad, dove almeno godono della protezione delle guardie carcerarie. Alcuni di loro hanno chiesto asilo politico all’Italia. Forse è il caso di concederglielo subito. Chi decide in merito tenga presente che queste persone rischiano di essere assassinate da un momento all’altro
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
twitter @cotoelgyes
Nella foto qui accanto Daniel, che, con le foto, ci ha inviato anche una dedica: “Questo sono io, Daniel, il tuo amico, Cornelia. Sono felice, sono un uomo libero”. Per oltre due mesi Cornelia Toelyes ha chattato quasi ogni giorno con i detenuti che erano riusciti a procurarsi un telefono cellulare. In alto due degli autobus sui quali i detenuti hanno lasciato Negad. Infine l’interno di uno dei veicoli