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Swaziland, la lotta delle vedove: lutto o sopravvivenza

IRIN
Mbabane, 21 aprile 2014
Nello Swaziland le vedove cominciano a ribellarsi contro il periodo di lutto che dura due anni, una tradizione ancora in uso, specialmente nelle zone rurali del Paese. Amanda Gindinza, una giovane vedova trentenne racconta: “Poteva avere un senso, quando le vedove si nascondevano, vestite di nero, nelle capanne, quando la poligamia era ancora diffusa; ci si aiutava e le famiglie d’origine assicuravano il sostentamento, quando non circolavano soldi in contanti, quando non c’erano né ospedali, né scuole, quando le donne non lavoravano fuori casa. Oggi è impensabile. Come fa una donna lasciare il proprio lavoro per due anni, rimanere per tanto tempo senza reddito e mantenere i propri figli? Per queste e altre ragioni ho dovuto adeguarmi ai tempi e ho osservato il periodo di lutto per solo sei mesi, anche se la famiglia del mio defunto marito mi ha condannata per aver accettato un lavoro come commessa. Ma che potevo fare? Né loro, né altri mi hanno dato un sostegno finanziario e i mie figli dovevano mangiare, continuare ad andare a scuola. Anzi, dopo il funerale, la famiglia di mio marito è venuta a casa e mi ha portato via parte dell’arredamento e alcuni elettrodomestici, adducendo  che ne avevano il diritto, appartenevano alla famiglia e siccome io non ho osservato la tradizione, nemmeno loro l’hanno osservata. Ma che potevo fare? Mio marito ci ha lasciato senza niente, vivevamo solo del suo stipendio, non possediamo altri beni”.

“Qui nello Swaziland, specie nelle zone rurali, una volta terminato il lutto, la vedova entra a far parte della famiglia di un fratello del marito morto, come l’ultima delle mogli. Per fortuna mio marito non aveva fratelli. Persino la mia vecchia madre, che vive con noi – conservatrice e tradizionalista, non mangia pesce, non appare mai in pubblico a capo scoperto – mi ha incoraggiato di fare ciò che ritenevo giusto fare per poter mantenere la famiglia. Anche lei ha capito che i tempi sono cambiati”.

Accorciare il periodo di lutto è una questione di sopravvivenza. L’HIV/AIDS è una delle maggiori cause di morte (lo Swaziland ha il triste record di essere uno dei paesi dove l’incidenza della malattia è una delle più alte del mondo), le cure mediche, i trasporti, le rette scolastiche rendono praticamente incompatibile i fatto di mantenere la tradizione e continuare a vivere. Joan Thwala, che lavora allo sportello di una banca, ha ripreso il lavoro due mesi dopo la morte del marito,  “Riprendere la tua vita in mano, occuparti dei tuoi figli, non significa non rispettare la morte del proprio marito; una donna deve poter ritornare al lavoro senza subire discriminazioni”.

Bisogna sottolineare che la situazione di Thawala è fuori dal comune. Due terzi della popolazione (gli abitanti sono un milione duecentomila) vive su terreni statali che vengono suddivisi e assegnati da un capo. Non c’è alcuna certezza, alcuna sicurezza: trattandosi di un terreno statale, può essere chiesta la restituzione in qualsiasi momento, senza preavviso e/o giustificazione.

Le vedove non dovrebbero nemmeno diventare parlamentari. E’ successo l’anno scorso, quando Jennifer Du Pont, diventata vedova da poco, ha sfidato la tradizione e si è presentata alle primarie per l’area rurale Ludzibini che si trova vicino a Mbabane, capitale dello Swaziland. Ancora oggi sembra che gli usi e i costumi dello Swaziland siano più potenti delle leggi di Stato.

Il fatto che la Du Pont volesse presentarsi alle primarie proprio non andava giù al capo locale Dumisane Dlamini. Ha indetto una riunione con tutti i residenti della zona, minacciando che avrebbe sfrattato chiunque avesse dato il voto alla vedova Du Pont e ha sottolineato: “Come può rappresentarvi una vedova davanti al re quando non ne ha l’autorizzazione?”

Ma per fortuna le parole e le minacce di Dalmini sono rimaste inascoltate. La Du Pont ha vinto le primarie, purtroppo non è riuscita a superare il secondo turno.

Le donne sono stanche di essere oppresse

A due donne è stata rifiutata la candidatura perché si erano presentate alle assemblee per le elezioni in pantaloni e maglietta. C’era da aspettarselo in uno Stato prettamente maschilista. Le due donne sapevano che la loro candidatura sarebbe stata respinta, presentandosi vestite in tal modo, ma hanno voluto sfidare tutti e ciò è stato veramente significativo per un Paese, dove le donne vengono ancora considerate legalmente come minorenni.

“Le donne non accettano più questa oppressione” – spiega Thab’sile Ndlovu, un’attivista per i diritti delle donne incontrata a Manzini, a IRIN. La filiale Swaziland della NOG Women in Law (nuore) Sudafrica sta prendendo le misure necessarie per cancellare alcune leggi che non permettono alla donna di agire autonomamente, una volta sposate, senza il consenso dei genitori o del marito, come aprire un conto in banca, chiedere prestiti, aprire una società e altro. Comunque non è illegale ridurre il periodo di lutto. La vedova può farlo, non deve chiedere il permesso a nessuno –“ anche se sarebbe meglio chiarire con i parenti del marito e far capire loro le effettive esigenze dei figli”, come suggerisce Ginindza.

Mentre Banele Mdziniso, durante una fiera di prodotti agricoli tenutasi a Eqinisweni e organizzata dall’Assemblea delle donne rurali, una rete presente in oltre dieci paesi africani, ha spiegato che la Costituzione non obbliga le donne vestirsi di nero e mantenere il lutto per due anni. E’ una libera scelta dell’individuo. E aggiunge: “Se informo la mia comunità che non mi coprirò la testa completamente, nel caso in cui mio marito dovesse morire prima di me, che non osserverò un periodo di lutto per due anni, i miei desideri devono essere rispettati, anche perché tutto ciò non riporterà in vita mio marito”.

IRIN
Servizio di notizie umanitarie e di analisi di OCHA, l’Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari dele Naioni Unite
traduzione di Cornelia I. Toelgyes

 

 

 

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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