Nostro Servizio Particolare
Cornelia I. Toelgyes
30 marzo 2014
E’ sempre guerra, si muore, si fugge, si scappa dal Sud Sudan. A cosa è servito firmare un trattato di pace il 23 gennaio scorso ad Addis Ababa? Le due fazioni, le truppe governative, fedeli al presidente Salva Kiir, per lo più formate dai dinka (la più grande etnia presente nel Paese) e i ribelli, seguaci dell’ex-vice presidente, Riek Machar (che rappresenta il secondo gruppo etnico, i nuer), continuano la guerra. Manca la volontà di ricostruire il paese, di donare serenità e pace alla propria gente.
Mentre pochi giorni fa Hilde Johnson, portavoce di UNMISS (Missione ONU nel paese), ha dichiarato ad una delegazione tedesca, in visita a Juba, che ottocentomila persone si trovano in condizioni assai critiche: “Bisogna fare in fretta e trovare i fondi necessari per sfamare la popolazione. Le piogge sono alle porte, è una corsa contro il tempo e per ora abbiamo ricevuto solamente un quarto della cifra richiesta.”
La guerra civile uccide il corpo, uccide l’anima dei bambini, costretti ad assistere a tanta, inconcepibile violenza. Ogni giorno vengono defraudati dei loro diritti, del cibo, degli affetti, dell’istruzione, perché, ovviamente a causa dei conflitti, molte scuole sono state chiuse. “L’arma più potente è l’istruzione”, usava ripetere Nelson Mandela, e se questa viene a mancare, quale sarà il futuro di questo giovane paese?
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
twitter @cotoelgyes
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