Marco Massoni
28 marzo 2014
La Francia è intervenuta nella Repubblica Centroafricana (RCA), giacché la debolezza dell’ex Presidente, François Bozizé, avrebbe favorito l’ingresso di gruppi islamisti provenienti dai Paesi vicini. L’incapacità delle autorità di transizione, createsi dopo il Colpo di Stato del 24 marzo dell’anno scorso per mano del cartello di forze ribelli noto come Séléka, ha favorito l’escalation di violenze in uno Stato fallito quanto a sicurezza, stato di diritto e sviluppo.
Assistiamo in questi ultimi anni sempre più ad una proliferazione della fenomenologia dei Made Happen Failed States (MAHAFS©), vale a dire Stati già fragili che sono fatti intenzionalmente fallire per mezzo di crimini di aggressione o golpe orditi da attori esterni.
Sin dal 2008 la ribellione ugandese dell’Esercito di Resistenza del Signore (LRA) si è stabilita nei territori della RCA, dove ancora adesso è braccata dall’Unione Africana col sostegno degli Stati Uniti. È sempre più facile per neo-formazioni Non-Statali (Non-State Actor – NSA), dunque movimenti ribelli e fondamentalisti armati, instaurarsi a piacimento nei Failing State, controllando regioni intere fuori portata dai Governi centrali.
L’uscita di scena di scena di Bozizé potrebbe secondo alcuni analisti anche trovare giustificazione con il suo avvicinamento in direzione di due dei maggiori concorrenti della Francia in Africa, vale a dire il Sudafrica e la Cina e con il parallelo allontanamento dall’ingombrante Ciad, bastione di Parigi nella fascia saheliana.
Gli scontri e le violenze che da un anno a questa parte si registrano in RCA oppongono grossomodo le milizie degli ex ribelli Séléka, composte anche, ma non solo di islamici, ai cosiddetti locali gruppi di autodifesa, gli Anti-Balaka, ovvero sostenitori cristiani di Bozizé.
Sono però decisamente fuorvianti gli accostamenti al caso di vent’anni fa del Rwanda, dove si verificò un vero genocidio, dal momento che giammai nell’enclave centrafricana avevano avuto luogo scontri intercomunitari, interetnici ed interreligiosi di rilievo; la minoranza musulmana, pari a circa il quindici percento della popolazione, ha sempre convissuto in pace con la maggioranza cristiana e con la restante parte dedita alle religioni tradizionali.
Questa opposizione del tutto artificiale fa certamente comodo a quegli attori esterni al Paese, che intendono controllarne le sorti, assicurandosi l’approvvigionamento delle locali risorse naturali, uranio in primo luogo, oltre che petrolio, diamanti, oro, ferro e rame.
Una ragione più squisitamente geopolitica mette al centro dell’attenzione uno tra gli Stati più poveri del mondo. Si tratta della sua posizione, perfettamente a cavallo tra i Paesi sahelo-sahariani e quelli dell’Africa Tropicale. La Repubblica Centroafricana è anche al confine fra gli Stati francofoni dell’Africa Centrale – Camerun, Ciad e Repubblica Democratica del Congo ad esempio – e quelli perlopiù anglofoni, come l’Uganda, appartenenti al Grande Corno d’Africa.
Si tratta quindi di una macroregione caratterizzata da una miscela esplosiva, dove l’instabilità dell’Africa Orientale s’incardina con quella della Regione dei Grandi Laghi. Qui sta emergendo da alcuni anni a questa parte la penetrazione di componenti salafite di matrice saudita in una zona che era stata finora loro aliena, mediante il finanziamento di forze destabilizzanti prima inesistenti.
Secondo importanti player extraregionali queste due regioni dell’Africa condividono la necessità di contenere inevitabili future mire espansionistiche di Pechino nell’area e viceversa.
La risposta europea alla crisi centroafricana è la missione militare CSDP-EUFOR RCA, frutto della nuova e più decisa politica estera tedesca del Ministro degli Esteri, Frank-Walter Steinmeier, e della Ministra della Difesa, Ursula von der Leyen, di fatto alla base del rafforzamento della cooperazione militare franco-tedesca in Africa, cui si aggiunge il contributo di Paesi minori della UE (Estonia, Polonia, Lettonia, Lituania e Romania) e della Georgia.
La domanda da porsi ora è se l’intesa militare tra Berlino e Parigi in Africa sia solo tattica e di breve termine o anche strategica, dunque di lungo termine. Certo è che quanto avvenuto limiterà qualunque strategia italiana autonoma nel continente africano.
Marco Massoni
Segretario Generale dell’Institute for Global Studies (IGS)
@massonimarco