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Cornelia I. Toelgyes
19 marzo 2014
I richiedenti asilo, i rifugiati che raggiungono Cipro non hanno vita facile, nemmeno se sono sposati con cittadini ciprioti o per lo meno appartenenti all’UE e così ieri 18 marzo, Amnesty International ha lanciato pesanti accuse conto i suoi governanti dell’isola, che è entrata nell’Unione Europea nel 2004: “Non rispettano i diritti internazionali dei rifugiati”.
I rimproveri sono durissimi: la detenzione dei migranti sarebbe prolungata ed inutile. Secondo l’organizzazione di difesa dei diritti umani, alcune donne, madri, siriane sono persino state separate dai propri figli ancora in fasce pur essendo mogli e madri di cittadini dell’Unione.
Nel documento Amnesty sostiene che un cittadino della Costa d’Avorio il 27 novembre dell’anno scorso ha subito gravi maltrattamenti dalla polizia. L’uomo è sposato con una cipriota ed è il padre di un bambino nato dalla loro unione. Qualcuno ha filmato, mentre veniva picchiato dagli agenti e le immagini di quel pestaggio stanno facendo il giro del web.
Oramai non passa giorno che i membri dell’MMAD (Police Rapid Response Unit) vengano accusati di razzismo. Solo qualche giorno fa un altro episodio nei confronti di un pakistano, anch’esso residente da oltre quindici anni sull’isola e sposato con una donna cipriota. Non si tratta più di episodi isolati, come riferisce KISA (gruppo a sostegno degli immigrati) ad un giornale locale, il Ciprus Mail.
L’UNHCR ha preso subito posizione dopo le denunce fatte da Amnesty International e ha chiesto al governo cipriota immediati chiarimenti sul perché delle prolungate detenzioni in attesa di rimpatri forzati.
Era del tutto prevedibile che Socratis Hasikos, ministro cipriota degli interni rigettasse le accuse fatte da Amnesty International. Infatti ha alzato la voce: “Ha generalizzato, ha ascoltato solamente le voci delle organizzazioni per la difesa dei diritti umani, ignorando totalmente la posizione del governo”. Ha poi precisato che il suo ufficio rigetta, salvo casi eccezionali, le domande di rimpatrio forzato e assicurato che applica le leggi sull’immigrazione dettate dall’UE.
Spesso la decisione di rimpatrio forzato è come firmare una condanna a morte per un profugo. Molti non sanno, anzi, fanno finta di non sapere, che un rifugiato non sceglie di diventare tale; il più delle volte non ha altra scelta.
Cornelia I. Toelgyes
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